Pochi mesi prima del 25 aprile del 1945.
In un angolo della mia camera da letto, c’è un acquerello che mi ricorda gli anni di guerra. Raffigura un bosco malinconicamente ombroso. Mia sorella Annamaria e io ne abbiamo visto l’autore che tracciava lenti segni a matita su un piccolo foglio di carta – tutt’ora male incorniciato – per completarli col colore gocciolante. È firmato da Federico Levi. Era nostro padre.
Con lui e la mamma eravamo rifugiati nella Langa piemontese con false identità per non rivelare di essere ebrei e sfuggire ai nazisti. Lo ammiravo quando eseguiva uno schizzo a matita su un supporto di legno compensato, o mentre preparava la tavolozza. Riusciva a raffigurare con immediatezza un interno o i vigneti lontani ripresi dalla finestra. “Prendo una punta di rosso e un po’ di giallo ed eccoti un bell’arancione” – mi spiegava. Nelle mattine tiepide si allontanava solitario con la cassetta dei colori. Si inoltrava per la collina, oppure entrava nel fitto bosco attraversato dal Talloria, un fiumiciattolo che confluiva nel Tanaro. Per noi bambini questo suo allontanarsi aveva un significato misterioso, finché, in un tardo pomeriggio d’estate nostro ci invitò a seguirlo per la sua solita passeggiata.
Aveva con sé la cartella da disegno e l’astuccio degli acquerelli. Annamaria ed io eravamo felici di quella novità; non era mai accaduto che ci permettesse di accompagnarli nelle sue escursioni; solo la mamma aveva questo privilegio.
Entrammo nel bosco. Una lunga camminata e uno strano fine pomeriggio. Ci venne ordinato, e non era mai successo prima di allora, di non rincorrerci e di non parlare ad alta voce. “È un nuovo gioco. Fatelo durare più che potete” – disse nostra madre. Mio padre trovò il suo angolo e si mise a riprendere a matita le sagome degli alberi frondosi. In poco tempo completò l’acquarello del bosco al tramonto, con una luce leggera che filtrava di sbieco tra i tronchi.
In quelle stesse ore l’esistenza della gente di Valle Talloria era messa a soqquadro. I militi della 10ª Mas erano a caccia di ebrei rifugiati e di partigiani, e rastrellavano casa per casa. Noi avevamo preso la fuga appena in tempo. Mia madre fortunatamente aveva udito in strada le grida spaventate di una ragazza del paese che aveva incontrato i repubblichini in azione nella vicina Gallo d’Alba. Era riuscita a evitare il posto di blocco e a raggiungere Valle Talloria in bicicletta per dare l’allarme.
Solo a guerra finita ho saputo la verità su quella sorprendente passeggiata nei boschi. Come ho già scritto, conservo ancora quell’acquerello del 1944, eseguito da un artista dolce, ma dai nervi particolarmente saldi. Un giorno mi ha chiesto se ne conoscevo il titolo. “È Il Bosco dei Bambini senza Paura” – mi ha detto. E questa è stata la mia iniziazione all’arte del disegno e del colore.