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Non recidere forbice quel volto. A Bergamo al museo si rielabora il lutto Covid

La GAMeC, a Bergamo La GAMeC, a Bergamo
La GAMeC, a Bergamo
La GAMeC, a Bergamo

Il progetto Non recidere forbice quel volto è stato sviluppato dai servizi educativi della GAMeC e dai mediatori umanistici della Caritas di Bergamo

Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, non far del grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre”. Da questa frase di Eugenio Montale è partita una riflessione sulla condizione sociale mutata dal Covid-19 all’interno della comunità di Bergamo. Che che ha portato i servizi educativi della GAMeC a rispondere ai cambiamenti irreversibili del trauma cittadino attraverso un progetto curato da Giovanna Brambilla.

Rielaborare il lutto, condividere memorie, lenire il senso di colpa e ripartire dal dolore per andare avanti”. Sono queste le parole che hanno accompagnato un senso di commozione generale nel raccontare i giorni successivi alla dichiarazione dello stato di emergenza. Il progetto Non recidere forbice quel volto è stato sviluppato dai servizi educativi della GAMeC e dai mediatori umanistici della Caritas Bergamasca con l’assessorato all’educazione alla cittadinanza, pace, legalità e trasparenza. Con l‘intento di essere un’opportunità per andare alle radici del dramma vissuto dalle famiglie e dagli operatori sanitari di Bergamo durante la pandemia di Covid-19.

Un momento straziante dominato da dolore e sgomento, nel quale moltissime persone si sono trovate impossibilitate ad accettare di convivere con il brutale distacco dai propri cari. “Non si è trattato solo di progettare un momento di riflessione per coloro i quali hanno perso un amico o un parente, ma di raccogliere sotto lo stesso tetto una comunità distrutta dal senso di colpa. Una comunità costituita da medici e operatori della RSA, che si sono trovati di punto in bianco a veder morire persone appena conosciute. Di 180 persone ne sono morte 60”.

Un senso di colpa nei confronti dell’impossibilità di poter aiutare membri della propria comunità, per non aver potuto dare un’ultima carezza oppure un ultimo saluto a chi se ne stava andando. La tragedia della pandemia è stato qualcosa di troppo, troppo forte per le nostre comunità, continua Giovanna Brambilla, e la necessità di aprire il museo alla rielaborazione dello stato attuale, tentando di restituirlo alla comunità, era dettata non solo da un senso etico ma anche dalla stessa dicitura ICOM (International council of museums). Che nei confronti del museo si esprime in questi termini: “il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”.

Dunque ripartire dal concetto stesso di museo come istituzione permanente al servizio della società che si è pensato di restituire alla comunità stessa i suoi spazi. Da dove partire? Innanzitutto dalle collaborazioni cittadine. “È da questa consapevolezza e dalla condivisione collettiva dell’esperienza della pandemia che, con i mediatori umanistici volontari del centro di giustizia riparativa di Caritas Bergamasca Filippo Vanoncini e Giulio Russi, con cui già collaboravamo su altri progetti, ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa”. È nato così il progetto per sottolineare l’importanza della memoria da tramandare alle future generazioni e la necessità di un ricordo che sia accoglimento del dolore e volontà di andare avanti.

La mediazione umanistica è soprattutto un modo per affrontare il conflitto, per attraversare il dolore come una possibilità rigenerativa è basata sull’idea di “comunità che ascolta” ed è un lavoro collettivo, un’attività per mettere le umanità a confronto. La GAMeC, con il centro di giustizia riparativa della Caritas Bergamasca, organizza ogni estate dal 2016 una Summer School anche in collaborazione con l’Università di Bergamo (dipartimenti di pedagogia e di diritto): il tema dell’edizione 2020 sarebbe stato incentrato sulla memoria. L’emergenza Covid-19 ha bloccato la Summer School – continua Giovanna Brambilla – ma ha anche posti tutti, come città, davanti a questa enorme sofferenza collettiva, a questo sentimento di smarrimento e di paura.

 

Giovanna Brambilla, responsabile dei Servizi Educativi, GAMeC, Bergamo
Giovanna Brambilla, responsabile dei Servizi Educativi, GAMeC, Bergamo

Il progetto Non recidere forbice quel volto si inserisce in questa riflessione, vuole diventare una possibilità per superare questo dolore come collettività rivalutando il senso di comunità. In quest’ottica il lavoro artistico e creativo diventa una catarsi necessaria, una memoria che si fa azione. Ma perché all’interno di un museo? Perché il museo è un luogo di relazioni e di memoria: ospita la memoria e la tiene viva nel tempo, inoltre il museo è un luogo della collettività, e il progetto Non recidere forbice quel volto è un percorso umano e collettivo: non solo sul singolo ma su tutto il tessuto della nostra collettività. L’idea era quella di far partire tre laboratori, i primi due gestiti dai mediatori umanistici di Caritas Bergamasca, mentre l’ultimo curato da Camilla Marinoni, mediatrice culturale al museo e artista, la quale ha aiutato i partecipanti a dare una forma materiale al processo di rielaborazione.

Le testimonianze sono di diversi materiali come ad esempio disegni oppure testi scritti dai partecipanti. Ciò che è davvero importante da ricordare è che non si è mai pensato di condurre i laboratori come se fossero progetti di arte terapia perché quest’ultima è un intervento di aiuto e di sostegno alla persona a mediazione non verbale che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale, nelle relazione tra arteterapeuta e paziente.Una metodologia specifica che ha bisogno di professionisti del settore e che i servizi educativi di GAMeC hanno precisato di non avere a disposizione per questo tipo di intervento.I laboratori del progetto infatti sono un momento di riflessione che non ha l’obiettivo di risanare il trauma della pandemia ma quello di rielaborarlo.

La prospettiva futura dei laboratori è quella di estendersi a tutte le istituzioni educative e culturali del territorio infatti Giovanna Brambilla ha continuato ricordando che alcune scuole di Bergamo sono pronte ad ospitare questo progetto, in modo tale da costituire una continuità con il lavoro di GAMeC e Caritas Bergamasca e rafforzare ancor di più la relazione tra tutti gli enti educativi. La raccolta della memoria collettiva trova spazio all’interno di un libro che sarà pubblicato da GAMeC come testimonianza di un periodo che ha segnato brutalmente la storia di Bergamo. Una dolorosa pagina di storia che potrà essere interrogata attraverso le pagine scritte dei suoi abitanti.

https://www.gamec.it/i-servizi-educativi-della-gamec/

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