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Se gli artisti diventano il mirino della cattiva politica. Lottizzazione del servizio pubblico e stato dell’arte dell’informazione in Italia

Fedez
Fedez

Unanime appoggio dal mondo artistico – da Paolo Fresu a Vasco Rossi – e un vespaio di polemiche montate ad arte, in primis dal critico Vittorio Sgarbi,  per screditare un cantante che,  a prescindere dal fatto che il suo genere possa o meno piacere, ha proposto una visione di mondo scegliendo di destinare parte della sua fortuna alla difesa dei diritti sociali e civili in un paese ancora piegato dalla pandemia.

Domenica molti esponenti politici, dal segretario del Partito Democratico Enrico Letta all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si sono schierati a favore di Fedez puntando il dito contro  il tentativo di censura che il trapper ha pubblicamente denunciato sia dal parco del Primo maggio, concerto tradizionalmente organizzato dalla Cgil (mancando il contraddittorio, gli era stato intimato di evitare il monologo a favore del ddl Zan con le citazioni di esponenti leghisti lesive della dignità degli omosessuali e in contrapposizione al principio di uguaglianza formale e sostanziale sancito dall’articolo 3 della Costituzione) e parlando più o meno esplicitamente della necessità di riformare il sistema di nomine della Rai e il ruolo della politica nella cosiddetta “lottizzazione” del servizio pubblico, la spartizione cioè tra partiti politici delle cariche direttive della televisione pubblica italiana allo scopo di condizionare e dirigere la vita economica e sociale del paese.
“Una polemica che concerne un gran numero di questioni inerenti lo stato dell’informazione, in particolare del servizio pubblico Rai, e della democrazia in Italia” commenta per Artslife Gennaro Carotenuto, storico, professore universitario e ricercatore in storia contemporanea presso l’Università di Macerata la cui attività di intellettuale “impegnato” riguarda la politica internazionale, le dittature, le violazioni dei diritti umani, la storia orale e la storia del giornalismo degli ultimi trent’anni con studi sul rapporto tra giornalismo digitale e mainstream.
“Provo a riassumere quelle che a mio avviso sono le due questioni principali.  La prima è il tedioso dover ricordare che, fin dalla riforma del 1975 sia invalso un principio non scalfibile, e che non sarà scalfito neanche questa volta, del “vivi e lascia vivere” che non ha nulla a che vedere col buon giornalismo ed è incompatibile con l’informazione di qualità che deve basarsi su responsabilità e accuratezza. La lottizzazione, invalsa dal ’75 in avanti, che è il pluralismo nella sua accezione all’italiana, e che pure ebbe il merito di rompere l’egemonia assoluta democristiana della RAI di Bernabei (cioè Fanfani) è un sistema che, dal tempo di Agnes (cioè De Mita), permette a tutte le parti politiche di cantarsela e suonarsela come preferiscono. Soprattutto permette di organizzare carriere non per merito ma per appartenenza per un numero enorme di clienti e di figli di. Non tutte sono carriere stellari, ma tutte sono garantite da un sistema di cooptazione che, a trent’anni dalla dipartita della cosiddetta Prima Repubblica, può definirsi ancora perfettamente partitocratico. A ben guardare, anche la “par condicio”, volta a limitare lo strapotere berlusconiano, che da capo del governo aveva contemporaneamente il monopolio della tivù commerciale concessogli dalla Legge Mammì (e oggi decaduto solo per l’evoluzione tecnologica) e al contempo controllava il servizio pubblico, finì per l’essere addomesticata a tale logica. Ciò ha comportato una sorta di rispetto tra lottizzati: io mi canto la mia e tu canti la tua e perfino la felicità dell’opinione pubblica – come quella di sinistra contenta di presidiare il solo TG3 – che preferiva riconoscersi in un tiggì non perché migliore ma perché espressione della propria parte politica. Come nella Spagna (Alghero) di Carlo V: “todos caballeros”. E qui vengo al secondo punto. Fedez proponeva una logica ineccepibile: fa una serie di citazioni sul tema Lega e omosessualità reperibili sulla stampa. Ovvero: riporta fedelmente dai giornali il punto di vista di alcuni dirigenti della Lega per far capire qual è il livello del dibattito, l’ignoranza, la violenza, l’impresentabilità. In Italia, dimostra Fedez, si può affermare che “il vaccino faccia diventare omosessuali” (sic) e non si paga alcun prezzo. Anzi: più la si spara grossa, più si rivendica un proprio diritto di tribuna sulla base del fatto che tutti abbiano diritto alla libertà di espressione, e si convince perfino qualche gonzo (molti gonzi) a votarti. E ciò accade, perché in un sistema di appartenenze, di nominati, lottizzati, clienti e figli di, tutti hanno la coda di paglia e pensano che essendo la propria posizione attaccabile sia sempre meglio non farsi troppi nemici”.

La spettacolarizzazione del dibattito che ha offuscato la sostanzialità della ricorrenza della giornata internazionale per ricordare tutte le lotte per i diritti dei lavoratori (originariamente nate per la riduzione della giornata lavorativa) innescato dal trapper non ha tuttavia entusiasmato lo storico e giornalista, autore per RAI Radio3 di programmi come Wikiradio che chiosa con un’ultima riflessione. 

“Al concertone del primo maggio gli artisti hanno occupato tutto esclusivamente parlando di loro stessi, del caso particolare dei lavoratori dello spettacolo, come se il resto del mondo del lavoro non esistesse o avesse altre tribune: hanno sottratto tutto lo spazio e lo hanno negato alle professioni sanitarie, agli impiegati, agli operai, ai precari, ai ricattabili, abusando di quello spazio. Lo stesso Fedez ha contribuito a spostare il dibattito dal diritto sociale al lavoro al diritto civile a non essere discriminati. Giova ricordare che il primo maggio è l’unico di 365 giorni l’anno consacrato ad un diritto sociale. Ciò conferma il contesto piccolo borghese della sinistra politica e intellettuale in Italia nella società post-industriale del XXI secolo. Difendere i diritti civili non costa nulla. Per quelli sociali bisogna ancora farsi troppi nemici”.

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