C’era una volta il Concerto del Primo Maggio, piazza San Giovanni a Roma piena di gente, la festa di lavoratori. Che cosa rimane di tutto questo dopo la querelle Fedez-Rai-organizzazione del concertone? Il Covid e le sue nuove modalità, ottenute a forza per ragioni contingenti, hanno fatto sì che il mitico concerto del Primo Maggio fosse ridotto a mero evento televisivo, del tutto gestito secondo regole e organizzazione legate alla messa in onda Rai. Niente di più lontano dalla manifestazione di piazza allegra, confusionaria e un po’ eversiva dei primi tempi.
Il risultato? Invece di far dettare l’agenda a musicisti, cantanti, sindacati, e, infine, anche alla Rai, si finisce per ascoltare esternazioni estemporanee e mal governate che normalmente appaiono sui social. Un corto circuito, quello fra Rai e Internet, che negli ultimi tempi si manifesta di quando in quando, ma che dimostra l’arretratezza di visione dell’azienda pubblica, la mancanza di gestione di un fenomeno, i social e i suoi influencer, che ormai si fatica a definire tale perché pervade perfino la nostra quotidianità. Insomma, la vita nell’era Covid si svolge soprattutto sul web e chi non si adegua, come la televisione pubblica, viene travolto con tutte le conseguenze del caso.
Lo scontro Rai-Fedez
Nell’audio integrale (che segue l’estratto pubblicato dal cantante) di Fedez con rappresentanti della Rai e dell’organizzazione (la vice direttrice di Rai3, Ilaria Capitani, i presentatori Lillo, Ambra e Stefano Fresi, l’autore Rai Massimo Cinque e l’organizzatore privato del concerto Massimo Bonelli), il cantante, piuttosto alterato, cita il concertone del 2014 nel quale Piero Pelù diede del “boy scout della massoneria” all’allora premier Matteo Renzi; un episodio che è costato al cantante toscano una querela e il conseguente patteggiamento per 20mila euro di risarcimento. Fedez si lamenta con i suoi interlocutori: “Perché io dovrei essere da meno?”, aggiungendo che il palco del Primo Maggio è sempre stato il luogo giusto per dire ciò che si pensa. Alle opposizioni degli altri, che parlano di “questioni di opportunità”, da esperto comunicatore di se stesso e della sua famiglia-azienda, Federico Lucia stupisce: sembra non sapere che le regole della comunicazione non sono le stesse ovunque. Mentre, dall’altra parte del telefono, nessuno riesce a spiegare in modo adeguato che l’azienda di Stato non può permettersi di avallare una visione unica, soprattutto se esposta con virgolettati fuori contesto, anche se l’argomento (come in questo caso) è giusto e sacrosanto. Il cantante insiste che è lui a metterci la faccia, che è un artista e, in quanto tale, può dire e fare ciò che vuole. Ma siamo sicuri che Rai3 debba essere il prolungamento naturale della sua pagina Instagram? La piazza del concerto quest’anno non c’era, c’era un evento televisivo organizzato all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Abbiamo dovuto rinunciare al luogo pubblico aperto a tutti dove la gente andava per cantare, ballare e sperare in un futuro di lavoro e giustizia sociale. Una mancanza, quella degli eventi dal vivo e delle stesse manifestazioni di protesta, che lascia ben altri strascichi. Ne sanno qualcosa i lavoratori dello spettacolo che alcuni giorni fa hanno manifestato a Roma con i “Bauli in piazza”, chiedendo di tornare a lavorare.
Il vuoto del dibattito politico in Rai
L’affaire Fedez-Rai, al tempo stesso, riempie goffamente un enorme vuoto lasciato dall’azienda di Stato: il dibattito politico. Dando un’occhiata ai palinsesti delle principali reti generaliste, emerge che la Rai ha ampiamente abdicato al suo ruolo di divulgazione in questo campo. Nella programmazione Mediaset e La7 troviamo programmi di punta come Quarta Repubblica, Zona Bianca, Dritto e rovescio, Fuori dal coro (Mediaset), Piazza Pulita, Di Martedì, Otto e mezzo, Non è l’Arena (La7) che ogni settimana, benché perlopiù politicamente schierati (o forse anche per questo), consentono agli spettatori di informarsi sulla temperatura politica, economica e sociale del Paese. La Rai manda in campo la valente Bianca Berlinguer con il suo Carta Bianca, l’evergreen Bruno Vespa con Porta a Porta, Manuela Moreno con la striscia Tg2 Post. Nelle ultime settimane, su Rai2 è stato inaugurato il talk di prima serata, Anni Venti, che fatica a decollare, con circa 400mila spettatori, nessun giornalista noto al grande pubblico e una linea editoriale ondivaga. Morale? Non c’è da stupirsi se, appena si apre un varco nel vuoto dell’informazione e del dibattito politico, una volpe dei social ci si ficca dentro.