Il dialogo tra moderno e contemporaneo assume i contorni dell’eccellenza tra le sale di Galleria Borghese, Roma. Negli spazi occupati dalle sculture di Bernini e dai dipinti di Caravaggio fa capolino uno degli artisti simbolo della contemporaneità: Damien Hirst.
Ecco che la mostra, in programma dall’8 giugno al 7 novembre 2021, prende il nome proprio dal leader degli Young British Artists: Damien Hirst. Archaeology now. A curarla sono Anna Coliva e Mario Codognato.
Nella fitta trama di rimandi tra epoche che l’allestimento intesserà, non è esente l’ormai celebre mostra che vide protagonista Hirst, nel 2017, nelle due sedi della Fondazione Pinault a Venezia. Il nucleo di 80 opere che abiteranno per sei mesi Galleria Borghese provengono infatti dalla stessa apprezzatissima serie: Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Accanto a queste, varie sculture realizzate in bronzo, marmo di Carrara e malachite, i dipinti Colour Space (in Italia per la prima volta) e la scultura colossale, Hydra and Kali, che sarà esposta nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera.
La statuaria romana classica, la pittura italiana del Rinascimento e quella del Seicento si intersecano dunque con le molteplici invenzioni di Hirst, artista abile nell’unire concetti e narrazioni.
Treasures from the Wreck of the Unbelievable
Ed è proprio da una storia, inventata ma incredibilmente documentata, che ha origine la serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable.
Tutto ha inizio con una leggenda: tra il I e il II secolo d.C., uno schiavo affrancato originario di Antiochia, Cif Amotan II, sfrutta la sua ricchezza per accumulare oggetti, ori, rarità della natura e opere d’arte da tutto il mondo. Decide poi di trasferire la sua eclettica quanto preziosa collezione su un’isola nell’Oceano Indiano, dove aveva fatto erigere un tempio dedicato al dio Sole.
Ma il vascello – chiamato Apistos, “incredibile” – affonda prima di arrivare a destinazione, trascinando nelle profondità del mare il suo carico di incommensurabile valore. Con il passare dei secoli, la sua esistenza diventa una diceria, finché non viene riscoperto nel 2008 al largo della costa orientale dell’Africa. Ed ecco che entra in scena Damien Hirst, che decide di finanziare le operazioni di recupero e, infine, di esporre al pubblico l’enorme tesoro riportato alla luce.
Il risultato è una moltitudine di opere incredibilmente eterogenee (realizzate in marmo, bronzo, corallo, cristallo di rocca, pietre dure) che ora, inserite tra i capolavori della Galleria, vanno a esaltare il il desiderio di multiformità del suo fondatore, il Cardinale Scipione Borghese.
Colour Space
In questo contesto trovano spazi anche un gruppo di dipinti dalla serie di Hirst del 2016 intitolata Colour Space, che costituisce sia uno sviluppo degli Spot Paintings sia una rivisitazione della prima opera di quella serie in cui le macchie erano dipinte liberamente. Queste opere sono come “cellule al microscopio”. Rompono l’idea di un’immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’una nell’altra, con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela.