La retrospettiva alla Triennale di Milano, a cura di Hans Ulrich Obrist e Francesca Giacomelli, è il testamento stilistico di Enzo Mari: il ribelle con l’ossessione della forma. 250 oggetti, quattro sezioni distinte, per oltre 60 anni di attività di uno dei principali maestri e teorici del design italiano.
La prima sezione, storica si basa sul riallestimento dell’ultimo progetto espositivo alla GAM di Torino nel 2008-2009, di cui Mari stesso aveva seguito la curatela, l’allestimento e il catalogo. A seguire vengono esposti cronologicamente i suoi lavori: i dipinti (dalle prime Pitture alle Strutture degli anni Cinquanta e Sessanta, l’Arte programmata), le sculture, gli oggetti (dalla sedia Tonietta alla serie di contenitori Putrella fino ai multipli d’arte de La Serie della Natura)
Tra i pezzi in mostra c’è il famosoTimor (il calendario perpetuo realizzato per Danese nel 1967) che si propone di contrastare la passività e il consumismo. Non è fatto di carta e da gettare via il 31 dicembre ma un’opera di design con cui interagire ogni giorno anno dopo anno.
L’allegoria della morte campeggia in un’area con tre lapidi, ciascuna dotata di un simbolo, una Croce, la Falce e Martello e una Svastica. Le due prime tombe hanno solo la terra smossa ma quella della Svastica è popolata da una colonnadi macchinine colorate.
Presente anche la Polluce, la lampada progettata insieme ad Anna Fasolis, in metallo cromato e vetro opalino, per Artemide nel 1963.
Completano l’esposizione bozzetti, moodboard, video-interviste e appunti per entrare nella testa dell’artista.
Non solo Mari però, il suo lavoro è in dialogo con altre opere di noti artisti:
Adelita Husni-Bey, Tacita Dean, Dominique Gonzalez-Foerster, Mimmo Jodice, Dozie Kanu, Adrian Paci, Barbara Stauffacher Solomon, Rirkrit Tiravanija e Danh Vō. Ultimo ma non per importanza l’omaggio di Nanda Vigo con la reinterpretazione luminosa dei 16 pesci di Mari (Danese, 1957) – che è anche l’ultima opera realizzata dalla designer prima della sua scomparsa.