La notizia della morte di Franco Battiato mi ha colto come un pugno allo stomaco: solo gli artisti che hai amato profondamente sono in grado di suscitarti una tale reazione come se fosse mancato qualcuno che conoscevi personalmente. Perché in fondo con le loro opere, nel caso del Maestro le canzoni, è come se ti avessero svelato un po’ della loro essenza più intima, magari più di quanto abbia fatto qualche tuo amico che frequenti da decenni.
Personalmente non sono un cultore della musica italiana e penso che, nel mare magnum della produzione mondiale, limitarsi o concentrarsi sulla stessa sia spesso una forma di pigrizia più che una scelta artistica. Conoscete qualcuno che legga solo libri di autori italiani o che guardi solo film nostrani? Io no, ma in compenso diverse persone che ascoltano solo musica italiana. Per le altre lingue non c’è – in ambito discografico – la traduzione o il doppiaggio ma è richiesta un po’ di dedizione per capire e assimilare. Eppure Battiato era difficile ma riusciva spesso in un’impresa rara per altri artisti: comunicare col pubblico su diversi livelli; molte delle sue canzoni possono piacere anche se non si ha voglia di approfondirne il significato: puoi cantare che cerchi un centro di gravità permanente anche se non ti sei fermato un minuto a riflettere su cosa diavolo sia. Puoi muoverti al ritmo di musica pop raffinata e godere di una voce bella e intonata anche senza voler studiare cosa sia un autodafé o a cosa si riferisca quando canta Delenda Carthago. Oliviero Toscani racconta che il suo amico Doug Tompkins, all’epoca fondatore e proprietario del celebre marchio di abbigliamento Esprit, studiasse l’italiano ascoltando i brani di Franco Battiato. Mi vengono in mente cantanti italiani che realizzano un album avvalendosi forse di trenta vocaboli; esagero ma non di molto.
Oltre ai prevedibili tributi a Franco Battiato da parte degli organi di informazione offline e online, mi ha sorpreso il numero di miei contatti sui social che gli hanno voluto dedicare un pensiero o un ricordo: centinaia di persone le più diverse tra loro per età, cultura, collocazione politica e geografica. Mi sono sembrati soprattutto post sinceri, non un qualcosa da fare per omologarsi a tutti gli altri o perché Battiato è radical chic e quindi per darsi un tono. Questo suo saper comunicare con tanti individui così differenti mi ha fatto pensare a come l’ho scoperto da teenager ancora minorenne ai tempi degli album L’imboscata e Gommalacca nella seconda metà degli anni ‘90. Era il periodo della collaborazione col filosofo Manlio Sgalambro e un artista ultra cinquantenne riusciva a connettersi a persone trentacinque o quarant’anni più giovani. È stato nella sua Shock in my Town che ho sentito per la prima volta nominare i Velvet Underground che in seguito sarebbero divenuti una mia personale pietra miliare. Il sodalizio con Sgalambro fu un passaggio di un’umiltà mai abbastanza sottolineata: un cantautore che, dopo oltre vent’anni di carriera, rinuncia alla sovranità sui testi delle proprie canzoni non è certo un avvenimento all’ordine del giorno. E proprio dalla suddetta collaborazione ha avuto origine La Cura che molti, in particolar modo tra gli ammiratori più giovani, considerano una delle più belle canzoni (se non la migliore) dell’intera carriera dell’artista siciliano. Sono senz’altro peculiari anche i tre album di reinterpretazioni di brani altrui Fleurs. Però sono scelte che hanno aperto le porte al pubblico di altre età e di altri artisti.
All’inizio del 2020 ero all’opera con alcuni amici per organizzare una giornata tributo a un musicista e artista scomparso che si sarebbe dovuta svolgere in autunno. Nessuno di noi è un organizzatore di concerti o festival e non puntavamo a guadagnare un euro dall’iniziativa: si trattava di un semplice desiderio di ringraziare qualcuno che aveva lasciato qualcosa nelle nostre vite. La risposta entusiasta che ricevevamo man mano che ci rapportavamo alle amministrazioni comunali per la concessione delle location, agli artisti e musicisti vogliosi di dare il proprio contributo all’evento ci fece riflettere. Perché non organizzare anche una giornata dedicata a Franco Battiato, magari nella sua Sicilia? Dev’essere necessario per forza morire per essere oggetto di un tributo? Le voci sulla salute del Maestro si rincorrevano tra notizie drammatiche e smentite e pensammo che forse gli sarebbe piaciuto assistere, anche attraverso il reportage di tv e giornali, a una dimostrazione d’affetto in un momento così difficile. Poi è arrivato il Covid e ha spazzato via qualsiasi velleità di eventi con musica dal vivo. Maestro, non mi resta che pensare a come hai speso bene il tuo tempo lasciandoci in eredità album e canzoni che ci facciano muovere, cantare, riflettere e ricordare.