Kubrick e Caravaggio, sabotatori del reale. In libreria un saggio dove si incontrano la canestra e il monolite
Kubrick e Caravaggio, sabotatori del reale, è uscito in libreria il saggio di Francesco Fiotti (edizioni Mimesis) che mette in dialogo tra loro le immagini e le suggestioni dei due grandi maestri.
“Una cosa detta in modo diretto non ha la stessa forza di ciò che le persone sono costrette a scoprire da sole”, dice Kubrick: il motore della creazione è la ricerca dello sconosciuto, dell’ignoto, è una pratica che sonda terreni inesplorati, accidentati, e che coinvolge oltre all’artista anche lo spettatore, che viene trascinato alla scoperta di zone d’ombra e spazi liminari. L’arte smaschera le fragilità dell’umano, le sue contraddizioni, dando forma a spazi multiformi, mutevoli (incerti e ambigui). Quello della ricerca artistica è quindi per sua natura un linguaggio sovversivo, che non si limita a descrivere, illustrare, ma che apre strade verso un altrove ignoto.
Ci sono opere che una volta fruite continuano a vivere nella mente dello spettatore, che germogliano. Siano esse quadri, statue, film o libri. Sono opere che ci abitano. I loro autori ci danno degli indizi, degli input e li accompagnano a vuoti, incongruenze, mancanze, ci consegnano i pezzi di un puzzle da ricostruire. Il libro di Francesco Fiotti, Kubrick e Caravaggio, sabotatori del reale, pone al suo centro proprio questo potere evocativo, invitandoci a pensare in maniera creativa, facendo perno sul potere dell’immaginazione per fare spazio a nuovi mondi, spazi e letture.
Cosa hanno in comune Caravaggio e Kubrick? Un pittore e un regista, entrambi geniali, entrambi passati alla storia, ma appartenenti a due mondi e a due piani storici completamente diversi. Una distanza incolmabile li divide? Forse no. Non il mezzo, non i temi, ad accomunarli è l’approccio alla creazione, i due si incontrano “sul terreno della ricerca della verità e del suo rapporto con il reale”.
Il saggio di Fiotti si configura così come un tentativo di scalfire la superficie del visibile, del rassicurante, di tutto ciò che normalmente ci appare consueto, andando a sovrapporre le poetiche dei due artisti non tanto nei loro aspetti più “superficiali” ma piuttosto tenendo conto di quelli che si muovono in profondità, negli abissi. Immergendosi negli spazi del regista di Shining e nelle tele del Caravaggio, l’autore scandaglia varchi e mette a nudo i meccanismi con cui i due geni hanno “sabotato” l’idea conformista di reale, in favore a un’indagine senza filtri (spericolata) sulla vera natura della realtà. Nei loro mondi assistiamo a una contaminazione continua tra vero e verosimile, tra manifestazioni e omissioni, tra verosimile e incongruenze. La natura cede il passo alla visione.
Catturare una fotografia della realtà. La pittura è una finzione per definizione, una messa in scena (un trucco, a volte un inganno, deliberato o meno), nella poetica di Caravaggio, in particolare, le figure prendono forma e trovano collocazione nello spazio attraverso la luce che le va a definire attraverso particolari via via sempre più importanti, in questo modo le storie prendono vita smarcandosi dalle tenebre, emergendo da uno stato di incoscienza per prendere posto in un luogo nuovo, “altro”, dove elementi (all’apparenza) incoerenti coesistono tra loro in una sottile rete che lega dimensioni teatrali ad altre, oniriche e allucinate. Come nella Vocazione di San Matteo, dove coesistono piani temporali opposti tra loro, quello che guarda al passato e quello che guarda al futuro, in una sospensione mediana che descrive in un’immagine l’intera biografia del personaggio.
La ricerca della perfezione, l’attenzione maniacale di ogni dettaglio, la mania del controllo: sono tutte caratteristiche che accomunano i due narratori, metodologie di lavoro che hanno permesso loro di mettere in luce il lato oscuro dell’umano, rendono palpabili desideri, sensi di colpa, passioni e tormenti. Nel volume viene messo in risalto questo particolare aspetto che permea la visione artistica di Kubrick e Caravaggio, attraversando le opere che li hanno resi due autori immortali e lasciando spazio a immagini e suggestioni, puntando sul lato nascosto dell’esperienza visiva, quello più “camuffato” e mitigato realismo della messa in scena, dall’apparente verosimiglianza del proscenio dove scorrono le storie che i due sabotatori hanno scelto di raccontare e che ancora oggi ci turbano.