Al museo creato da Carlo Rizzarda arriva la donazione della collezione Franzoia. Capolavori assoluti dell’arte del vetro
Chi volesse prendere un caffè nel centro storico di Feltre, potrebbe incontrare qualche difficoltà. Come molte cittadine di origini medievali, questo comune del bellunese crebbe su un’altura, scelta utile a fini difensivi. Se dunque nella parte alta del centro restano le strutture istituzionali, sintetizzate dal Comune e dal Duomo, le attività si svilupparono a valle, nel borgo. Attività commerciali, un tempo magari anche artigianali. Per sorbire con facilità l’agognato caffè occorre allora scendere per Via Mezzaterra fino all’arco che si apre sul fermento vitale.
A far da collante fra queste due anime di Feltre, c’è (anche) l’arte. Che ha trovato uno spazio ideale nella Galleria Rizzarda, nel cinquecentesco Palazzo Bovio – Cumano, appollaiato a sovrastare sornione la citata Via Mezzaterra. Una struttura nata negli anni ’30 del novecento grazie al lascito del maestro Carlo Rizzarda, che la volle per farne un museo del ferro battuto – attività che lo rese celebre anche oltreoceano – pressoché unico al mondo. Ora la Rizzarda vive un decisivo momento di crescita e di notorietà: affiancando a queste collezioni – che comprendono anche dipinti e sculture di importanti artisti del calibro di Felice Casorati, Egon Schiele, Gaetano Previati, Carlo Carrà, Adolfo Wildt – una delle più importanti raccolte al mondo di vetri veneziani del Novecento.
Un “miracolo” che rinverdisce la storia delle origini della Galleria: visto che il protagonista, l’architetto Ferruccio Franzoia, è un nipote della sorella di Carlo Rizzarda. “Oggi trasferire lì i miei soffiati è come portarli in una vecchia casa di famiglia“, ha confidato in una recente intervista. Si deve quindi a lui la donazione della collezione, messa insieme con la compianta consorte Carla Nasci, di oltre 800 vetri d’autore, che “promuovono” la Rizzarda a museo d’arti decorative di livello mondiale. Una vita, quella di Franzoia, dedicata per buona parte a conoscere, studiare e conservare le migliori testimonianze dell’arte vetraria, dalla tradizione fino alla stagione d’oro verso la metà del ‘900.
Vetro e caffè
Una passione alla quale oggi – da noi stimolato in occasione della presentazione della donazione – lui prova a dare consistenza “plastica” nel racconto di un aneddoto. “Carlo Scarpa [celebre architetto attivissimo anche nella progettazione di vetri, ampiamente rapprepresentati nella collezione Franzoia] si tratteneva sempre fino a tarda ora nelle fornaci. Aspettava che i maestri stessero per finire il lavoro: perché diceva che come il caffè più buono è quello che resta in fondo alla caffettiera, il vetro migliore è quello che rimane sul fondo dei crogioli”.
Sono tre le nuove sale all’ultimo piano del museo allestite dallo stesso architetto-collezionista per accogliere la raccolta creata in oltre trent’anni di passione collezionistica. Un percorso definito “capriccioso”, visto che ricalca la falsariga delle scelte qualitative e di gusto personale che hanno ispirato la genesi della collezione. La prima sala è dedicata alla produzione della ditta Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini & C, costituita nel 1921 da Giacomo Cappellin e Paolo Venini. Epoca dominata dalla figura di Vittorio Zecchin, “una tra le personalità più affascinanti che operarono a Venezia tra la Prima guerra mondiale e il decennio successivo”, ha ricordato Franzoia. “Che con i suoi elegantissimi soffiati trasparenti ispirati al Rinascimento, impresse una svolta determinante nella produzione muranese coeva”.
Alle due manifatture nate da questo primo nucleo muranese, Cappellin e Venini, è dedicata la seconda sala. “Qui sono esposti oggetti riferibili alla presenza a Murano di Carlo Scarpa, che nel 1926 iniziò con Cappellin una collaborazione durata fino al fallimento della ditta nel 1931”, puntualizza il collezionista. “In seguito Scarpa passò alla Venini dove rimase fino alla cessazione dell’attività per cause belliche nel 1943 e per un breve periodo nel dopoguerra fino al 1947”. Ci sono poi opere di personalità molto diverse fra loro, ma sempre campioni della tradizione vetraria muranese. Da Napoleone Martinuzzi a Tomaso Buzzi, Massimo Vignelli, Fulvio Bianconi, Archimede Seguso, Giuseppe Barovier. Il terzo e ultimo settore è dedicato ai vetri da mensa, oggetti di consumo, destinati ad un uso effimero. “Pertanto la sezione offre un’importante testimonianza di gusto e costume”.