Immortalità e rigenerazione. Le opere dell’artista russo Evgeny Antufiev in dialogo con la collezione del più importante museo al mondo della Civiltà Etrusca.
L’effetto catartico del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
Nel caos cittadino di una Roma che torna a vivere dopo la pandemia, concedersi del tempo al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ha sempre un effetto catartico. Dapprima inebriante con il porticato affrescato di rose, gelsomini putti e uccelli che volteggiano in cielo. Poi spaesante, con il Ninfeo alimentato dall’antico acquedotto Vergine. Splendori della villa rinascimentale che custodisce i più celebri capolavori della civiltà etrusca.
Ricongiungimento con il tempo
Ecco dunque che accolto dall’abbraccio dell’emiciclo, ha inizio il nostro viaggio all’interno del più importante museo etrusco al mondo. Migliaia di reperti e manufatti che sprigionano ovunque raffinatezza, senso di libertà e amore della vita. Percepire, nella scoperta delle nostre radici culturali, quel senso profondo, quella sedimentazione che sembra mancare nelle nostre giornate dove tutto scorre (troppo) velocemente.
La mostra di Evgeny Antufiev
Una sorta di ricongiungimento con il tempo che l’artista Evgeny Antufiev ha reso ancor più percepibile ai nostri occhi distratti dal bombardamento quotidiano di immagini social.
Dead Nations.Eternal Version – questo il titolo dell’esposizione ospitata all’ETRU fino al 26 settembre 2021- non è una mostra contemporanea che si limita a dialogare con la collezione permanente di un museo alla ricerca di qualche forzata assonanza. Si tratta piuttosto di un progetto che, attraverso gli archetipi sempre presenti nelle varie culture, rende evidente quel filo invisibile che lega le varie civiltà del mondo, nel tempo e nello spazio.
Il commento del Direttore Valentino Nizzo
“Una riflessione che non è affatto scontata” ha affermato il Direttore del Museo Etrusco di Villa Giulia Valentino Nizzo – ” che non prevede l’intromissione di opere contemporanee nei nostri spazi e nelle nostre vetrine ma una riflessione dietro ogni oggetto e la sua collocazione. L’artista ha cercato di cogliere l’essenza dell’arte degli etruschi. Sul piano formale attraverso la materia prescelta: bronzo e ceramica. Ma anche sul piano contenutistico e ideologico nel confronto con la morte e soprattutto con la rigenerazione che ne consegue. La nostra scelta non è quella di ospitare mostre a caso, perché sono belle. Noi vogliamo agire in modo attivo stimolando l’arte, che è molto di più. Diamo spazio a chi è in grado di interpretarla e non cerca semplicemente una ‘location’
Del resto, come ha sottolineato lo stesso direttore, l’arte e la cultura etrusca sono state sempre fonte di stimolo e fascinazione per generazioni di artisti. Cosi come la stessa Villa Giulia è stata un punto di riferimento per l’arte contemporanea in particolare a partire dall’Esposizione Universale del 1911 che ha visto il giardino diventare l’area delle Belle Arti.
Il mito per ordinare il nostro mondo
Il mistero che avvolge la civiltà etrusca ha concesso un ampio margine di interpretazione alla narrazione dell’artista russo, per il quale il mito è un modo di ordinare il nostro mondo, di spiegare la nostra vita. Cosi come aperta rimane anche l’interpretazione del visitatore, invitato a costruirsi la sua narrazione, la sua personale mitologia .
Il dialogo tra le opere di Evgeny e i reperti della collezione del museo, è inevitabilmente filtrato dalla cultura dell’artista di origine siberiana in particolare riguardo la tradizione russa del trattamento dei materiali. Anche se, come ha sottolineato Svetlana Marich – curatrice della mostra insieme a Marina Dacci – non è questa la chiave di lettura della sua opera:
“Quello che lo ha colpito tantissimo è stata la capacità della cultura italiana di assorbire, stratificare e in qualche modo contenere – dando nuova vita – a quelli che sono vari approcci di tenere insieme il percorso del tempo”
La chiave di lettura dell’opera di Evgeny Antufiev
Non si tratta dunque di un confronto fine a se stesso tra gli spazi immensi della Siberia e la “compressione” della stratificazione storica del nostro paese. Piuttosto, di una stretta aderenza con il suo modo di lavorare dentro gli spazi:
” Il suo lavoro fondamentalmente ha due linee strettamente connesse la prima è la negazione del tempo lineare” prosegue la curatrice ” E’ una cosa molto interessante perché ci mette nella condizione di non vedere le culture passate come morte ma, al contrario, di prenderle come parte di un ciclo iconografico, ma anche vitale, di tutta quella che è la storia dell’uomo. L’altro punto assolutamente fondamentale è la ricerca ossessiva di una simbologia che accompagna questa storia virtuale ma anche culturale delle civiltà passate che si esprime attraverso una serie di archetipi che possiamo ritrovare in tante culture”.
L’ossessione del collezionista
L’artista, è infatti un assiduo collezionista di svariati oggetti. Forse qualche lettore particolarmente attento noterà che a poco meno di 2 km da Villa Giulia, un’altra esposizione si occupa della cosiddetta “ossessione del collezionista“, Ci riferiamo alla mostra di Damien Hirst alla Galleria Borghese. Con tutte le differenze del caso – in ordine agli artisti e alle stesse esibizioni – si coglie in entrambe le mostre, questa necessità – attraverso il mito e il collezionare oggetti del passato – di dare ordine e senso al percorso dell’uomo.
L’obelisco con i geroglifici pop di Evgeny Antufiev
La prima opera dell’artista che si incontra nel percorso espositivo è l’obelisco posto al centro del giardino della villa. Un riferimento agli obelischi del passato che caratterizzano tutte le civiltà ma anche un colto riferimento a Athanasius Kircher. Non solo nella sua veste di “traduttore di geroglifici” ma anche perché nell’ala del museo dedicata alla sua collezione di oggetti – prevalentemente etruschi ed italici – si è prevalentemente concentrata l’esposizione di Antufiev. Una scelta non casuale ovviamente. Torna infatti quell’ossessione del collezionismo di cui avevamo già accennato in precedenza.
I geroglifici dell’obelisco in travertino dell’artista siberiano- reinterpretati in chiave pop – sono dunque un omaggio alla capacità del museo di riattivare una relazione con il passato, rendendolo fertile.
Le maschere, archetipi presenti in tutte le civiltà del passato
Passando nell’emiciclo si può trovare una maschera di bronzo posta su una fontana. Se ne troveranno varie dell’artista nel percorso espositivo. La diversa texture delle varie maschere come spiega la Svetlana Marich “è dovuta al fatto che l’artista fa fusioni a cera persa riciclando oggetti. Nelle sue fusioni non c’è artificio, non si sa mai quale sarà il risultato”.
Dialoghi con il raffinato stile di vita degli etruschi
Al primo piano, nell’ala del museo dedicata alla collezione kircheriana, le opere dell’artista sono poste all’interno delle vetrine che custodiscono i manufatti estruschi. Una sorta di “caccia al tesoro” che invita i visitatori ad aguzzare la vista e “scovare” le sue opere accanto ai gioielli del passato. I suoi lavori in terracotta sono sempre molto grezzi, non hanno la lucidatura, in linea con l’antica tradizione delle patine molto povere – che spesso scompaiono col tempo – di chi non poteva permettersi gli smalti ma doveva in qualche modo chiudere la porosità della terracotta per preservarne il contenuto.
Le opere dialogano principalmente con l’oggettistica legata alla dimensione del quotidiano, una dimensione per la quale la cura del corpo ha un ruolo significativo nella raffinata cultura etrusca. La visione di un manufatto funzionale si trasforma in opera d’arte.
Il museo immaginifico di Evgeny Antufiev
Infine, alla fine del lungo corridoio, un museo nel museo. Uno spazio fittizio e immaginifico dove elementi pop si mescolano con elementi tradizionali. Tra i materiali usati figura spesso il bronzo, anche questo un omaggio agli etruschi, maestri nella lavorazione dei metalli.
Il vaso del Ninfeo, acqua e rigenerazione
La pandemia ha dato modo all’artista di aggiungere nel tempo alcuni elementi alla sua esposizione romana:
Una delle ultime opere aggiunte che mi hanno colpito” ha spiegato Valentino Nizzo ” è il vaso che è collocato all’interno del Ninfeo in dialogo con i corpi delle cariatidi. Il vaso prescelto è profondamente ispirato nella forma ai famosi bitonici villanoviani, quelli che costituiscono la parte più rappresentativa del momento iniziale dell’arte degli etruschi, quando ancora etruschi non è legittimo chiamarli perché non avevano acquisito ancora piena consapevolezza di chi erano.
Quei vasi infatti servivano a contenere l’acqua che le donne raccoglievano quotidianamente, in seguito vengono scelti per contenere le spoglie mortali dei defunti proprio perché all’acqua è collegata l’idea di rigenerazione e di vita.
“L’artista” continua il Direttore di Villa Giulia ” ha saputo cogliere anche questo senso profondo associando il contenitore al luogo più legato all’acqua di tutta la villa, creando un salto mortale carpiato di riferimenti tra la sua opera, la villa rinascimentale, l’arte degli etruschi attraverso l’acqua e l’idea di rigenerazione”.
Informazioni
Evgeny Antufiev
Dead Nations. Eternal version
ETRU – Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma
a cura di Marina Dacci e Svetlana Marich
Fino al 26 settembre 2021
Orati museo: martedì-domenica 9-20, ultimo ingresso ore 19; chiusura sale espositive ore 19.30.
Chiuso: lunedì.