Annunciata con sapienti lanci stampa si è inaugurata il 15 luglio la mostra Breath Ghosts Blind di Maurizio Cattelan presso il Pirelli Hangar Bicocca, curata da Vicente Todolí e Roberta Tenconi, rispettivamente direttore artistico e curatrice di PHB. L’esposizione segna la rentrée dell’artista a Milano dopo oltre dieci anni e ha suscitato una trepidante attesa presso i follower che già da alcuni giorni lustravano i sandali e i mocassini Gucci Slipper per la preview, nella speranza di carpire qualche arguzia dall’artista.
Dopo, ad inaugurazione avvenuta, si è riversato sui vari media un discreto fiume di bava inchiostrata, frutto dell’onesto lavoro delle vestaglie dell’arte e del formidabile ufficio stampa che hanno speso concetti pesanti: amore, vita, morte. Miracoli non ancora, alla prossima (o à la prochaine). Dunque, a rotative e tastiere ferme, flip flops a riposo, una visita lontana dai rumori di fondo del milieu è d’obbligo. Breath Ghosts Blind sono rispettivamente i titoli delle tre opere che costituiscono un’unica narrazione e che dovrebbero rappresentare, nelle intenzioni dell’artista, i cicli della vita, della creazione e della morte, suscitando riflessioni esistenziali circa i temi che la contemporaneità ci pone. Molto bene! Prima di iniziare la visita, va detto che gli spazi dell’Hangar sono davvero imbarazzanti, da far tremare i polsi a chiunque voglia affrontarli e sui quali incombe l’ombra delle Torri, quasi ad evocare quella stregata del racconto di Hugo von Hofmannsthal.
Il percorso espositivo inizia dunque con l’opera Breath, realizzata in marmo e raffigurante un uomo in posizione fetale, le cui fattezze ricordano l’artista, accanto ad un cane. Si prosegue poi nell’enorme sala delle Navate che accoglie l’opera Ghosts, che altro non sono che i piccioni tassidermizzati già proposti in altri prestigiosi ambiti e qui aumentati di numero a colonizzare l’intero spazio. Infine Blind, enorme monolite in resina nera intersecato da un aereo, sapientemente collocato nella sala più piccola, così da aumentarne la suggestione. Fatta la scarna cronaca della mostra, ora passiamo alle suggestioni e alle opinioni, naturalmente per quel che valgono. L’impatto generato dall’esposizione è forte e sicuramente suscita sensazioni intense che sono però generate più dalla sapienza dell’allestimento che dalle opere in se stesse. Una bella scenografia piuttosto che una bella esposizione. Complice il buio, accompagnato da un intelligente e rado gioco di luci crea l’effetto Vecchia Romagna Etichetta Nera, il brandy che crea un atmosfera. La mostra si regge, a mio avviso, sui piccioni la cui presenza si scopre via via, a poco a poco, sparpagliati sull’intero perimetro, ora un po’ minacciosi, ora a restituire un senso di disfacimento. Dunque è un lavoro vecchio per quanto ricontestualizzato a dare senso al tutto, non certo Breath che, al netto dell’effetto sorpresa, ma siamo sempre in campo scenografico, dovrebbe trasmettere un senso di precarietà esistenziale che apparteneva all’artista ai suoi esordi, quando era un Pierino, non ora che è un uomo affermato, imborghesito, ed affronta tematiche esistenziali e non più di corrosivo sarcasmo.
Per quel che concerne Blind, al netto della clamorosa rassomiglianza con l’opera realizzata nel 1985 da Ico Parisi, e del vizio di puntare l’attenzione su fatti di cronaca che hanno colpito l’opinione pubblica mondiale, così, solo citandoli, lasciando allo spettatore la “libertà” di interpretazione e vedere di nascosto l’effetto che fa, mi sembra un giochetto un po’ facile facile, specialmente in questo caso. Il fatto poi che Lui fosse a NY durante quel tragico evento è del del tutto ininfluente e non ce ne frega una cippa. Troppo seria e densa di conseguenze quella vicenda per farne un uso così superficiale. E poi, a ben guardarla – oh my Lady Gaga! – ha una saldatura a tre quarti della sua altezza, non è un’unica colata di resina! il suo collega Jeff, Jeff Koons, l’avrebbe schiacciata come gli occhiali di Woody Allen.
Insomma, il tempo è passato e anche il Nostro ne risente. Il re non è nudo, ha un costume di scena griffato che, finita l’interpretazione, va restituito ai padroni del vapore. Sotto il vestito niente? Poco, tanto? Chissà!
A me, confesso, diverte poco.
Griffati saluti.
L.d.R.