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Cattelan/De Dominicis

LA SFIDA DELL’IMMORTALITÀ

Ogni essere umano è eterno in ogni secondo della sua esistenza. L’articolo che sto scrivendo in questo momento seduta alla mia scrivania, in questa stanza affacciata sul mare, io l’ho scritto e lo scriverò per tutta l’eternità, con una tastiera nera, guardando lo schermo luminoso del computer, in circostanze del tutto simili. E questo vale per ognuno. C’è una conclusione matematica che concede a ognuno non solo l’immortalità ma anche l’eternità? Questo sembra essersi domandato Gino De Dominicis per gran parte della sua esistenza e durante la sua altrettanto straordinaria avventura artistica. Parmenide afferma che il linguaggio, il pensiero, verte sempre su ciò che è , nel senso di ciò che esisteNominare qualcosa che non è, ossia qualcosa che non abbia alcun grado di realtà è un assurdo o un errore. Basandosi su questa dottrina De Dominicis ha negato che il tempo, il movimento, il ciclo vitale degli organi e la traslazione dei corpi nello spazio esistono davvero. Perché il divenire implica un passaggio da “un essere” a “un non essere”. Molte delle sue opere d’arte sono una dimostrazione di questa filosofia. Tutto nell’esistenza è paradossale esattamente come il ready made di Duchamp che ha una molteplicità di significati e  fa dell’ironia dissacratoria la sua estrema provocazione. De Dominicis è l’unico ad aver capito ciò che è sfuggito alla maggior parte degli epigoni e dei continuatori di Duchamp e cioè che il ready made è un’arma a doppio taglio: se si trasforma in opera d’arte rende inutile il gesto di profanazione; se preserva la sua neutralità trasforma il gesto stesso in opera. L’unica scappatoia per De Dominicis è restituire all’arte la sua aura di sacralità, cercare il   senso perduto e nascosto del divino. Bellezza e divinità sono i due attributi della dea immortale Urvasi. L’arte dei Sumeri è l’unica arte che può aspirare all’immortalità perché non esprime niente al di fuori di se stessa. Non è “espressione” ma l’arte liberata dalla sua necessità di esprimersi. L’arte iperstilizzata e formalizzata dai Sumeri è quanto di più vicino alla liberazione dal canone umano si possa immaginare. Figure iconiche dalle grandi teste con pupille enormi, sproporzionate rispetto al corpo e alle mani piccole e racchiuse, naso a becco ereditato dall’uomo-uccello preistorico. Calamita Cosmica, il grande scheletro di oltre 20 metri. il cui teschio è fornito di un lungo naso a becco, appartiene a un altro ordine, un ordine soprannaturale,  non umano. Guardarlo ci pone in uno stato di inferiorità. Questo senso di impotenza di fronte al mistero rievoca lo sgomento dell’uomo primitivo di fronte al sacro e all’inaccessibile. Se finora il passato ha rappresentato per noi la barbarie e l’avvenire significava invece progresso, scienza, felicità, illusione, De Dominicis ha intuito che bisognava rovesciare i termini del discorso: è l’arte degli antichi ad essere più “giovane” perché è venuta prima della nostra. C’è una profonda malinconia nell’idea dell’eternità dell’uomo che è la monotonia dell’eterno ritorno, l’inutilità di ripetere uno stesso atto per sfuggirvi come cercare di creare quadrati concentrici anziché cerchi gettando un sasso nello stagno. L’uomo è impotente, fragile e destinato al fallimento come nell’opera di Cattelan ossessionata dall’idea di morte e votata alla pulsione di morte da cui non riesce a sfuggire. Con Freud la morte è passata da morte filosofica a dramma della coscienza. Nel dadaismo lo stesso artista, la sua esistenza e il suo corpo sono un’opera d’arte vivente, esprimendo così la pulsione vitalistica dell’irrazionalismo di Nietzsche. Ma Maurizio Cattelan viene considerato come autore di opere di stampo duchampiano e post dadaiste, e anche un gran furbacchione per l’uso dissacratorio che fa dell’ironia, una ribellione contro qualsiasi valore estetico che cerca sempre di provocare per mettere in scacco tutto ciò che è prestabilito. L’artista non è un opera d’arte vivente ma è “morto”! Qualcosa da osservare come una natura morta. In Now una scultura in cera che ritrae John Fitzgerald Kennedy deposto a piedi scalzi in una bara è realizzata con una impressionante definizione di ogni dettaglio. Lo spettacolo della morte si espone allo sguardo stupito e indiscreto del pubblico. La morte è un gioco? Fa ridere? E’ scaramantica? O è lo spettro latente e rimosso delle nostre coscienze? Cattelan scherza, De Domicis fa riflettere e mette in moto il pensiero. Nell’installazione presso la Galleria “La Nuova Pesa” (1996) un manichino vestito con i panni dell’artista è impiccato e sospeso sulla testa dei visitatori che allo stesso tempo sono accecati dalla luce dei riflettori puntati contro di loro. Ishtar, cardine del mondo degli immortali, è l’apparenza che si dissolve e torna ad apparire, l’apparenza come forma momentanea dell’apparizione, l’illuminazione come stato in cui la morte e la vita si congiungono. L’enigma ci lascia intravvedere l’altro lato della presenza, l’immagine unica e duplice, il vuoto, la morte. InWe l’autoritratto dell’artista è doppio. Due defunti Cattelan giacciono sul letto della veglia funebre impersonando due diverse espressioni, l’ultimo istante che congela e racchiude l’estrema volontà, il congedo verso il mondo, un po’ sberleffo, un po’ intensamente l’immissione del perturbante in un contesto, quello dell’arte, che vorrebbe essere spensierato, appagante. L’ossessione del doppio è stata espressa in modo sottile da Freud in Das Unheimliche (il Perturbante), nell’angoscia che nasce dalle cose più familiari e che nella sua forma più elementare sorge con intensità maggiore nella vertigine della separazione. La figura del doppio, strettamente legata a quella della morte e della magia, pone da sola tutti i problemi dell’interpretazione psicologica e psicoanalitica. Il doppio è come il morto, il morto è il doppio del vivo, il doppio è la figura vivente e familiare della morte. E’ il principio d’astrazione tra il soggetto e il suo principio spirituale o tra il soggetto e il suo principio morale. E’ l’interiorizzazione di un’istanza astratta: l’Io e il Super Io, religiosa: Dio e l’anima; morale: la coscienza e la legge, in definitiva un’istanza inconciliabile. Nella Nona Ora, una delle sue opere più celebrate,  il rapporto tra materia e spirito si fa estrema tensione, la materia è fragile, fallibile, sottoposta alle leggi del caso, anche un caso fortuito o divino… chi può saperlo? Il Papa colpito dal meteorite è solo apparentemente un nonsense, non è blasfemo né ateo ma solo una feroce dissimulazione. Se il tempo ha una struttura ciclica come nella dottrina dell’eterno ritorno di Nietzsche, il caso non esiste e ogni evento possiede una propria causa ed è assolutamente necessario. Heisenberg afferma che lo spazio in cui si sviluppa l’essere spirituale dell’uomo ha dimensioni diverse da quello in cui si è dispiegato durante gli ultimi secoli. L’irreversibilità della morte, il suo carattere oggettivo, il suo punto di non ritorno appartengono alla nostra epoca e alla nostra cultura. Tutte le altre culture affermano che la morte comincia prima della morte e la vita continua dopo la vita. De Dominicis ci ha aperto gli occhi ingannandoci, dimostrandoci che la differenza tra reale e irreale è che la realtà è meno reale, che è la distanza, la sottrazione e l’invisibile che ci permettono di andare oltre l’orizzonte del banale e del già visto. L’umorismo delirante e ragionato è il disinganno della ragione. Una lezione che Cattelan non ha afferrato quando , ad esempio, ha riproposto il suo lavoro dei piccioni tassidermizzati aumentandone semplicemente il numero. La vera libertà è sempre oltre, è ciò che permette all’arte di non fermarsi mai e di produrre non multipli di sé ma continui travestimenti e smascheramenti.

 


 

Leonardo Da Vinci ,Salvator Mundi, opera ritenuta scomparsa e ritrovata recentemente.

 


Gino De Dominicis, ritratto in bianco e nero

Maurizio Cattelan, Felix

 


Gino De Dominicis, Calamita Cosmica

 


Maurizio Cattelan, Charley don’t surf

 

 Gino De Dominicis, Trasvolare l’immaginario, intervento alla trasmissione tv “L’Angelo” Rai3
Courtesy: Marta Massaioli


Maurizio Cattelan, We are the revolution (la rivoluzione siamo noi)

 Annuncio funebre esposto alla prima mostra di Gino De Dominicis alla Galleria l’Attico 1969
Courtesy: Marta Massaioli

Maurizio Cattelan, We

Gino De Dominicis, Senza Titolo, Immortalità

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