Il minimalismo letterario di Lucio Caccamo -esordiente scrittore e medico nella vita- fa ben sperare nel prosieguo della sua seconda attività. D’altro canto, Burri docet…
Avete presente quelle grandi scatole variopinte con dentro decine e decine di cioccolatini o biscotti tutti diversi uno dall’altro? Alzi la mano chi nella sua vita non ne ha mai ricevuta una in regalo. Questo piccolo grande libro di Lucio Caccamo ci assomiglia proprio. Se non me lo avesse preannunciato lui mi sarei stupito, leggendolo. All’inizio avrei pensato a una sorta di romanzo distopico. Poi mi avrebbe raggiunto la sensazione d’un complesso mosaico bizantino. Nulla di tutto ciò.
Settant’uno mini racconti
che si infilano come pietre colorate in una collana
L’autore ha semplicemente scritto, in duecento pagine, settant’uno racconti diversi. Apparentemente autonomi. Ciascuno con un soggetto che scopri, insieme al prologo, alla storia e all’epilogo, in una media di due paginette. Beh io che faccio il pittore, oltre che scrivere, mi son subito trovato perfettamente bene. La letteratura “tachiste” di Caccamo sfiora le corde della mia sensibilità pittorica. Ogni brevissima storia ha le sue sfumature, le sue luci e ombre, specifiche. Sono lampi, riflessioni e ricordi, tutti tratti dalla sua vita persino infantile. Qualche rumore e sapore consueto non poteva sfuggirmi, visto che più o meno siamo cresciuti negli stessi decenni. Perciò mi sono divertito. Gli anni Settanta, Ottanta e Novanta con sogni, immaginazioni, fatiche e delusioni fanno da sfondo a questa composizione informale della vita. Chi non ha vissuto quei tempi trova in queste pagine soltanto l’eco minimalista, che spesso è più illuminante dei fatti.
La matrice della calviniana leggerezza
Caccamo fa il medico nella vita (chiamatelo dottore non professore che non vuole) e come quasi tutti gli uomini di scienza ha cuore e cervello attivi e sensibili sulla bellezza, l’etica, la vita, la morte e il mistero. Così questa raccolta di excursus esistenziali scorre leggera nel senso della calviniana “leggerezza”. Dall’epistemologia di una granita siciliana al racconto di un sogno, la storia di Silvana, il profumo simbolista di una chioma, lo zio Gianni, un abbaglio, persino una semplice cipolla o la caduta d’una goccia parlante nel Rio delle Amazzoni: tutto vale il pretesto d’una storia. Cominci con una scena interpretata da un adolescente e la pagina dopo sei nei panni d’una signora di mezza età, di un oggetto o un profumo.
La struttura narrativa e il ritmo della frase
Ma quel che colpisce è che tutti i racconti, pur brevissimi, hanno una loro precisa struttura narrativa. E in fondo son proprio gli attributi letterari a tenere il filo di tutto. Caccamo scrive bene. Ha ancora rare ingenuità narrative, ma senza alcun dubbio rivela un gran senso del ritmo. Dote principale ed essenziale per uno scrittore. D’altro canto sarebbe difficile non averlo e riuscire ad incantare nella trama d’una storia che termina poche righe dopo averla introdotta. Allora mi chiedo: perché non provare a scrivere un romanzo? Visto che Caccamo è un dottore, facciamo che possa salvarci tutti ancora per un po’, almeno per avere il tempo di leggerlo. Ne varrebbe la pena, credo. Forza si dia da fare. Scriva.