Intorno alla metà del XX secolo la grande stagione muralista messicana inaugurata nel 1922 stava giungendo al capolinea, così come l’esistenza terrena dei tre pittori messicani che, più di tutti, avevano contribuito a rendere grande il fenomeno del muralismo messicano. Josè Clemente Orozco si spegneva nel 1949, Diego Rivera nel 1957 e David Alfaro Siqueiros nel 1974.
Nonostante la fama di questi tre artisti sia principalmente legata ai monumentali murales americani, vale la pena ricordare che Orozco, Rivera e Siqueiros realizzarono negli anni anche un significativo numero di opere da cavalletto di notevole qualità e originalità che, il più delle volte, presentano affinità tecnico-stilistiche e tematiche con i murales realizzati tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta. Spesso questi artisti, prima di realizzare un murale, erano infatti soliti dipingere su un supporto mobile, come per esempio la tela, riproducendo poi l’immagine a parete su scala monumentale.
Sebbene le prime notizie sul Muralismo messicano e i suoi più illustri protagonisti giunsero in Europa a partire dagli anni Trenta, fu solamente negli anni Cinquanta che si cominciarono a conoscere, anche in Europa, le opere da cavalletto di Orozco, Rivera e Siqueiros. Ad alimentare l’interesse del pubblico europeo verso la pittura messicana contemporanea contribuì sensibilmente anche la XXV Biennale d’Arte di Venezia del 1950 che ospitò, per la prima volta in Europa, un’intera rassegna dedicata a Diego Rivera, Josè Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros e Rufino Tamayo.
Leggendo i numerosi articoli di giornali e riviste redatti nel 1950, oggi conservati presso l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, si evince che l’opinione pubblica non fu unanime nel giudicare l’Esposizione messicana del 1950, ma nonostante questo tale evento fu altamente significativo poiché permise al pubblico italiano di vedere dal vivo le opere di artisti figli di una cultura diversa da quella europea dalla quale i loro antenati avevano lottato a lungo per sganciarsi.
Alcuni ritenevano che i quadri di Rivera, Orozco e Siqueiros non fossero realmente rappresentativi della loro arte poiché consideravano il loro successo legato alle opere murali; altri ancora si erano persuasi che fosse difficile riuscire a capire il reale significato delle opere messicane all’infuori del contesto in cui erano state concepite. Ci fu chi, dopo aver visto il padiglione messicano, definì l’opera di questi tre artisti come «impressionante e terrificante» (V. Costantini, Terrorizzano i quadri messicani in Il Corriere lombardo, Milano 13 luglio 1950) e chi scrisse che «per gli occhi delicati e nevrotici dell’europeo […] l’incontro con i pittori messicani sarà forse peggio di un urto» (E. Somare, Sangue messicano alla Biennale in Il Tempo, Milano 9 settembre 1950).
Comunque sia, al di là dei giudizi positivi e negativi che furono dati in occasione della XXV Biennale di Venezia, ciò che interessa rimarcare è un dato oggettivo: dopo l’Esposizione del 1950, in Italia e nel resto d’Europa si affermò un grande e crescente interesse per la pittura messicana della prima metà del XX secolo. Un sincero apprezzamento che si è mantenuto costante negli anni e che trova conferma anche nel grande successo che hanno oggi le opere di Frida Kahlo (1907-1954) che ricordiamo essere diventata nota, prima ancora che come pittrice, come moglie di Diego Rivera.
Che convincano o meno da un punto di vista estetico, i quadri di Orozco, Rivera e Siqueiros sono indubbiamente opere di eccezionale qualità; opere mai banali in cui si riflette la visione personale del mondo di tre artisti dal temperamento differente, dotati ognuno di un proprio linguaggio facilmente riconoscibile per la sua naturale unicità.
Se da un lato Diego Rivera (1886-1957) rappresenta nei suoi quadri una realtà idealizzata dal sapore onirico prediligendo un disegno delicato e armonioso, dall’altro Josè Clemente Orozco (1883-1949) e David Alfaro Siqueiros (1896-1974) esprimono con le loro immagini brutali e cruente il dramma intero di un’umanità andata alla deriva.
Eco del pianto di Siqueiros, ad esempio, è un’opera che esprime alla perfezione quella terribile sensazione di solitudine e malessere esistenziale provata negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali. Un quadro intriso di profonda drammaticità innanzi al quale lo spettatore ha come l’impressione di sentire realmente le urla disperate del bambino raffigurato al centro, il cui pianto sembra protrarsi all’infinito producendo un’eco lontana. Intorno a lui ci sono solo macerie, resti di un’umanità che è stata spazzata via e della quale tutto ciò che rimane non è altro che il pianto di una piccola creatura indifesa abbandonata a sé stessa.
Tra i tre artisti Siqueiros era quello che aveva indubbiamente la personalità più irruenta e un carattere esplosivo; era «una fiaccola, un fuoco, tutto entusiasmo e inquietudine» (R. De Marchi, L’Arte messicana in Risorgimento, Napoli 1 giugno 1950) la cui pittura si caratterizza per un tratto vigoroso e vibrante, oltre che per la monumentalità delle figure e una violenta carica espressiva che tende a sfociare nella caricatura e nel grottesco, così come si vede in Ritratto etnografico.
Sullo stesso piano si colloca, come abbiamo visto, lo stile del più anziano Orozco caratterizzato prevalentemente da un marcato pessimismo che l’artista bene esprime attraverso un acceso e violento cromatismo che ricorda da vicino la brutale violenza espressiva tipica delle opere dei pittori espressionisti del gruppo Die Brücke. Eccezione a quanto detto sin qui sulla pittura brutale di Orozco, sono alcune opere da cavalletto, come per esempio Le donne dei soldati nelle quali l’artista ha dato prova delle proprie eccellenti doti come disegnatore, realizzando una composizione estremamente delicata e armoniosa.
Quest’opera pare particolarmente interessante sotto un profilo storico poiché Orozco vi ha raffigurato, insieme ai soldati-contadini eroi della Rivoluzione messicana, anche un gruppo di donne-soldato a testimonianza di quanto anche le donne avessero partecipato attivamente alla Rivoluzione del 1910 combattendo, in alcuni casi, al fianco dei propri uomini.
Diversamente da Orozco e Siqueiros, Rivera preferì optare per una rappresentazione più idealizzata della realtà messicana contemporanea, dando prova nelle opere da cavalletto, così come in quelle murali, delle proprie abilità come disegnatore e formidabile colorista. Rivera realizzò quadri con soggetti differenti, la maggior parte dei quali celebrano la cultura messicana attraverso un repertorio figurativo facilmente riconoscibile come possono essere, per esempio, le immagini femminili abbigliate secondo la moda
messicana, ritratte alle prese con la raccolta e la vendita di calle, così come si può vedere nel celebre quadro Le fioraie.
Formidabile disegnatore, Rivera fu molto apprezzato anche per le sue spiccate doti da ritrattista. Prova ne sono i moltissimi ritratti che gli furono commissionati da personaggi illustri e ricchi committenti che evidentemente ne riconoscevano il talento e l’originalità.