La mostra “Fausto Pirandello: gli autoritratti (1921-1972) a Palazzetto Brancaccio, museo di arte moderna e contemporanea di Anticoli Corrado (fino al 15 ottobre), si concentra sull’aspetto che più tormentò il figlio del grande drammaturgo: quello dell’identità.
Quanto il problema dell’identità ha avuto a che fare con l’arte di Fausto Pirandello, con il suo nome, con le tragiche vicende familiari, con l’essere figlio del famoso scrittore premio Nobel? Legatissimo alla madre, Antonietta Portolano, di cui era il preferito, sembra che Fausto non fosse esente da una sorta di rivalità nei confronti del celebre padre. Competizione destinata però a vederlo sempre perdente nei confronti del genitore. Un nodo inestricabile di amori e odi generazionali pare avvilupparsi e scorrere drammaticamente, quasi come condizione esistenziale di arte e vita, messa in scena (e in pittura) con lucida, brutale sincerità.
La fuga liberatoria di Fausto a Parigi, nell’inverno del 1927, è l’occasione giusta per allontanarsi. Porta con sé la giovane Pompilia d’Aprile, modella di Anticoli Corrado, che sposa a Montparnasse. Nel ’26 un suo quadro era stato esposto alla Biennale di Venezia accanto a quelli di Carlo Levi, ma è il viaggio nella Ville Lumière a dargli quella ventata di aria nuova e di libertà di cui sentiva il bisogno. L’arte, attraverso cui può finalmente differenziarsi dal celebre padre, diviene per il figlio pittore un supporto identitario potente. L’accanimento sull’autoritratto da una parte sembra indicare l’impossibilità di conoscersi a fondo, dall’altra diviene fonte di agognata auto-affermazione, spinto forse anche dal desiderio di “vivere una pluralità di vite” (Freud).
Oppure l’artista, attraverso gli autoritratti (nel corso della sua carriera ne ha dipinto, inciso, disegnato più di cento), vuole mostrare il conflitto e l’angoscia della propria esistenza? Nel rappresentare il dubbio sulla consistenza della sua identità, nel tentativo di darsi una forma stabile mettendo assieme pezzi della propria storia e collegandoli in una rete di senso, Fausto Pirandello mette in scena sé stesso per cercare di conoscere, decentrandosi, ciò che è invisibile e che non sarebbe così com’è se non ci fosse la sua controparte sensibile.
Dalla prima incisione del 1921, in cui il pittore si ritrae mentre dipinge un nudo di donna, all’ultimo autoritratto noto datato 1972. La rassegna indaga il percorso artistico di Fausto Pirandello attraverso il suo tema prediletto, permettendo di coglierne l’evoluzione: dal segno analitico degli anni della formazione con Lipinsky alla scomposizione cubista del dopoguerra, passando attraverso l’espressionismo intriso di valori tonali del periodo della “Scuola romana”, fino al ritorno ad una realtà oggettiva, ma esasperata, della maturità.
A sottolinearlo è Manuel Carrera, curatore della mostra, autore del saggio che fa anche il punto su dati finora rimasti ambigui, quali la cronologia di interventi e ritocchi su importanti dipinti, le ragioni della presenza di più versioni di uno stesso quadro, la datazione di alcuni autoritratti. In mostra una trentina di opere fra pastelli, disegni, incisioni accompagnati da fotografie d’epoca.