Mentre la vita scorreva tranquilla, la mattina dell’11 settembre 2021 la sua ordinarietà è stata sconvolta dalla perentorietà del dramma. L’affresco conosciuto come il Trionfo della Morte, conservato a Palermo, restituisce in modo efficace questo sentimento di impotenza.
Quella mattina dell’11 settembre 2001 assistevamo increduli, paralizzati davanti alla televisione, al crollo delle Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York, dove due aerei di linea dirottati da assassini visionari e suicidi, si erano volontariamente schiantati, portando orrore, morte e distruzione. Degli altri due diretti a Washington e sul Pentagono arrivavano resoconti terribili, come tutti sappiamo. Ci inquietavano le possibili conseguenze di quegli eventi, e da allora nulla è più stato come prima.
Le immagini della tragedia appartengono ormai all’inconscio collettivo, ma non solo: con mirabile tempismo, gli artisti occidentali di area Concettuale – ricordiamo tra costoro, Gerard Richter, Steve McCurry e Thomas Ruff – hanno colto al volo l’occasione per offrire le loro testimonianze, ovviamente molto crude, ai ricchi collezionisti, particolarmente sensibili agli investimenti sul futuro, anche se indubitabilmente di gusti macabri.
Invece, silenzio assoluto da parte degli artisti della Tradizione. Esistono ancora? Certo. Si dedicano all’Astrazione, all’Informale, al post Realismo Sociale, al Paesaggio, al Nudo, al Ritratto. In verità, cosa possono dire dell’11 settembre che non sia già stato detto in altri tempi e in altre circostanze? Sull’Apocalisse – perché è di questo che si tratta – tutto è già stato anticipato da antichi pittori immaginifici in veste di profeti, che hanno creduto e interpretato il senso arcano della profezia dell’Apostolo Giovanni. Sono stati Dürer, Brughel, Bosch. Tra i moderni si potrebbe aggiungere il Picasso di Guernica, che qui cito per una particolare coincidenza.
A Palermo, nel Museo d’Arte Antica che ha sede nel bellissimo e austero Palazzo Abatellis, campeggia nell’atrio l’affresco staccato di un ignoto maestro catalano, databile intorno al 1446. L’opera porta il titolo di Trionfo della Morte; ha una larghezza di sei metri e un po’ di più di altezza. È un’allegoria emozionante, dove lo scheletro della Morte cavalca un destriero che sembra fatto di acciaio. Il suo muso minaccioso rimanda stranamente, e forse non a caso, a quello che Picasso ha immesso in Guernica.
La Morte lancia strali tutt’intorno, in uno scenario umano di nobili signore e signori ritratti nelle loro quotidianità, e del tutto ignari di cosa incombe sul loro destino. L’autore, forse attivo presso la Corte Aragonese, mostra fra l’altro nobili dame pietose accanto a corpi di moribondi, motivando l’ipotesi dell’antica collocazione dell’affresco in un ospedale. Ed è così che questa Apocalisse ci riporta a quel mattino dell’11 settembre, quando la vita scorreva secondo i rituali quotidiani, dentro e fuori le due Torri; e quando orrendi Cavalli alati d’acciaio portavano a termine la loro missione di morte, tra le 8.45 e le 9.50, ora locale di New York.