co-atto è uno spazio ibrido e interdisciplinare. Mentre la vita si rinchiudeva all’interno della dimora domestica loro “colonizzavano” un non-luogo urbano. Da un punto di vista fenomenico si tratta di una scelta straordinariamente interessante, paradossalmente è proprio in quel periodo che nascono molte nuove realtà.
Ne parliamo con i fondatori del progetto: Stefano Bertolini, Ludovico Da Prato e Marta Orsola Sironi.
La vetrina come dispositivo mette in scena per definizione un “prodotto” che sia visibile al pubblico. Riflettendo sul concetto di vetrine nell’arte, lasciando fuori i classici white cube (luoghi ben connotati e definiti), mi vengono in mente certe esperienze non convenzionali. Due esempi (non esaustivi): Prada Marfa (2005) di Michael Elmgreen e Ingar Dragset a Marfa, nel Texas, e The wrong gallery (2006) la micro galleria di Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni e Ali Subotnik. Cosa significa esporre arte contemporanea in un contenitore così circoscritto sia in termini oggettivi-spaziali sia per ciò che riguarda la sua collocazione.
Dispositivo è esattamente il termine che indica cosa sono le vetrine per noi. Fin dall’inizio, quando ci siamo posti la sfida di aprire un project space in vetrina, abbiamo deciso di lavorare sulla tematica dell’archivio, warburghianamente parlando, ispirandoci al complesso e monumentale archivio in divenire di Mnemosyne. L’archivio da subito è stato inteso da noi sia come deposito fruibile alla collettività, traccia dei nostri molteplici interessi e indagini, che si concretizzano di volta in volta nelle mostre e in red_atto, sia, soprattutto, come dispositivo aperto a una continua sperimentazione. Dall’iniziale definizione di archivio, la ricerca di co_atto si è evoluta nel tempo attraverso il serrato colloquio con i progetti che abbiamo man mano condotto. Proprio la necessità di lavorare su progetti site specific e in favore di una fruizione dinamica e democratica ci ha spinti a rivedere man mano le nostre certezze aprioristiche e fare pace con l’idea di dover condurre un’indagine in situ.
Ci siamo accorti che co_atto non era uno spazio espositivo semplice o comune ma un’occasione costante di mettere alla prova qualsiasi teoria curatoriale e filosofica, uno stress test per dinamiche espositive e in qualche modo esistenziali. Le vetrine ci mettono quotidianamente in discussione: pongono le opere su un piatto d’argento di fronte agli occhi di un pubblico che non se l’aspetta, in una zona di transito dove non dovrebbe esserci altro che rumore di passi e noia, alienazione. E lo fanno in modo superbo e indifferente, a tal punto che il nostro collettivo vive costantemente con l’ansia della “bella operetta incorniciata nella bella vetrina”: dobbiamo fare un lavoro di critica continua a noi stessi e al lavoro che esponiamo per allontanarci sempre più dal destino pubblicitario e di mercato cui originariamente questi non-luoghi erano dedicati.
Va da sé che il pubblico sia ampio ed eterogeneo, non solo quello più specializzato ma soprattutto quello che inciampa nell’opera durante un percorso (reale) quotidiano in una zona di passaggio e attraversamento. Che reazioni avete raccolto? Potete fare un bilancio dell’esperienza?
Siamo giunti alla nostra quinta mostra a quasi un anno dalla nascita di co_atto. Quando abbiamo ricevuto in affidamento le vetrine da Artepassante abbiamo capito subito che questo luogo non-luogo, questo spazio di passaggio e di transito, aveva un’identità tutta sua e non poteva prescindere dalla fruizione variegata che subisce e incita costantemente. Molti artisti che hanno lavorato con noi ci hanno confessato di essere stati messi in grande difficoltà dalla particolarità dello spazio, dalle sue caratteristiche intransigenti. Non solo perché le vetrine richiedono, anzi pretendono, sempre progetti site specific, ma anche perché abbattono qualsiasi tipo di muro tra l’autore e il pubblico. Anzi, se spesso l’artista si trova in occasione delle mostre in una posizione di “presenza” e riconoscibilità, nel nostro caso vive e soffre questa duplice dinamica di presenza-assenza. Se da un lato, durante l’allestimento della mostra non può nascondersi dallo sguardo del pubblico, non può tutelare il mistero dell’inedito e del “dietro le quinte”; dall’altro non può nemmeno essere sempre presente a difendere il proprio lavoro. Una volta che questo è montato, diviene autonomo, un pezzo di mondo indipendente che vive della sua propria solitudine. Siamo soliti dire che è come sapere che c’è una nostra foto che ci ritrae nudi per le strade della città e non poter essere presenti per affermare che si tratta di un nudo artistico. C’è, esiste e viene vista. Non sussiste possibilità di mediazione.
Di contro anche il pubblico si trova in una posizione nuova. Le vetrine cancellano il concetto di soglia in favore di una democraticità assoluta. Vengono viste quotidianamente da migliaia di passanti, siano essi i dipendenti del business meneghino, o i giovani che si prendono una birra in piazza Archinto, i ragazzini che sfruttano il corridoio per i video di tiktok, i riders o i barboni che abitano la stazione. Non si instaura mai quella dinamica fastidiosa da “mondo dell’arte”, decritta tanto bene in L’Odio di Mathieu Kassovitz, quell’ansietta da ingresso alla mostra che solitamente coglie il visitatore e lo fa sentire fuori luogo. Qui tutto e niente ha luogo: non c’è selezione all’ingresso. I feedback sono vari e variegati proprio in conseguenza di tutte queste dinamiche. Abbiamo scelto una strada non facile, in quanto molti dei progetti site specific che proponiamo sono ricerche concettuali a volte molto minimali, altre più minime. Eppure, nonostante questo, cerchiamo di ragionare in primo luogo su un discorso di inclusività e co-partecipazione, lo dice il nostro stesso nome. Vogliamo invitare il pubblico a prendere parte attiva alle ricerche che conduciamo, vogliamo coinvolgerlo, sfidarlo anche, perché no, provocarlo ma di certo non deriderlo o guardarlo dall’alto in basso. Il miglior parere che abbiamo ricevuto è stato quello di un caro amico di Marta, completamente esterno al mondo della creatività, che si è complimentato con noi per “aver messo a valore un pezzo di mondo”. Altri feedback molto positivi continuano ad arrivarci da molti passanti, soprattutto da coloro che hanno vissuto questa tratta di strada negli anni e che si ricordano ancora la desolazione di questo corridoio spento e delle vetrine vuote. Il fumetto co_atto nasce proprio da questa volontà di sbaragliare qualsiasi barriera sia tra le arti, così come ancora troppo spesso ci vengono propugnate, sia per dare al pubblico qualcosa di più diretto, di più fresco. In generale la gente è molto curiosa e si ferma spesso a guardare i lavori e a chiederci informazioni, quando ci trova qui. Abbiamo avuto anche dei riscontri totalmente negativi, un esempio sono le tag che ogni tanto vengono fatte sui vetri. Per fortuna però si tratta di situazioni limite.
Due esempi divertenti sono stati il rider che ha voluto curare la prima vetrina della fotografia al posto nostro e il clochard che ha trascinato Francesco Viscuso alla polizia per “detenzione d’arma da fuoco”: una pistola giocattolo che l’artista ha dovuto giustificare ai poliziotti mostrando l’articolo di Repubblica che ci aveva recensiti poche settimane prima. L’esempio più commovente, però, resta il live painting di Mr Piskv, organizzato da Nubifilm per la nostra prima mostra, in_festa. In piena zona rossa quelle poche persone che potevano transitare in una Milano del silenzio assordante e della desolazione da lockdown hanno gioito nel poter vedere qualcosa di così inaspettato e così entusiasmante in un momento in cui tutti eravamo ormai rassegnati a una fruizione solo virtuale. Per noi il virtuale è solo uno spazio di servizio: abbiamo inaugurato la nostra prima mostra in zona rossa e continueremo a fare interventi fisici in qualsiasi situazione: le vetrine sono pubbliche e sono covid free.
Progetti e artisti: in_festa, la prima mostra, è stata un momento di dibattito e ricerca; Remembrance from the Lethe ruotava intorno al concetto di archivio e Vagare ai margini è stata la prima residenza negli spazi. Da quali suggestioni partite per elaborare i temi e, conseguentemente, la scelta degli artisti?
All’inizio della nostra attività abbiamo dato tanti statements a co_atto, come quello dell’archivio in divenire, della co-partecipazione, della transdisciplinarietà. A oggi queste tematiche non sono mai venute meno ma si sono sicuramente evolute, dobbiamo dire anche in modo inaspettato. In_festa è nata, diversamente dalle altre, in modo più meditato forse (abbiamo avuto mesi per prepararla, cosa che non ci è stata possibile per le altre) ma anche in modo più viscerale. Abbiamo inaugurato il 19 marzo in piena zona rossa perché avevamo il bisogno di fare qualcosa, soprattutto qualcosa di fisico. Avevamo l’urgenza di dare spazio a tutte quelle voci che con il covid erano state messe a tacere, di fare un grande urlo collettivo per richiamare l’attenzione su tutto l’ambito creativo e culturale, per poterci riprendere la vita e l’attività che i continui lockdown e l’assenza di particolari tutele statali ci stavano togliendo. Abbiamo chiamato tutti i nostri amici, tutte le realtà che ci sembravano vicine, per infestare le vetrine, per essere co_atti e pensare insieme, ognuno a modo suo, una strategia di resistenza culturale.
Remembrance from the lethe è stata l’unica nostra mostra a tema: è nata dalle ricerche di Marta Orsola intorno all’archivio come dispositivo processuale e partecipativo, e ai temi di memoria, identità e proliferazione dell’immagine. In quel caso ogni artista o ogni gruppo di artisti ha avuto a disposizione quattro vetrine. È stata un’esperienza molto profonda, che ci ha permesso di studiare tantissimo e approfondire tematiche più legate all’ambito delle visual cultures e della semiotica. Come in ogni occasione, anche in questo caso i partecipanti hanno condotto ricerche site specific. Eppure, tirando le somme ci è stato chiaro che il tema e le vetrine avevano condotto per tutto il periodo di mostra uno scontro testa a testa su chi o cosa dovesse essere preponderante.
È stato grazie a Vagare ai margini, la nostra prima residenza, che abbiamo capito di non poter fare altro che ascoltare le vetrine. La nostra voce, la nostra volontà curatoriale deve venire necessariamente per seconda. I partecipanti alla residenza hanno potuto capire, come noi, che le vetrine hanno una loro identità e una loro autonomia di desiderio. Prendersene cura vuol dire sedersi ogni volta al tavolino con loro e chiacchierare a quattrocchi: a parlare per primi, a dare titoli e tematiche aprioristiche, rischiamo di non cavare da loro nulla.
Il nostro attuale progetto co_atto un_fair #1 Ricominciare dal silenzio, nasce dalla stessa volontà di in_festa di fare rete e ripartire insieme. Abbiamo chiamato da tutta Italia spazi indipendenti artistici e collettivi di architetti e artisti per darci man forte, per dare a tutti uno spazio nel fermento milanese di queste settimane, per conoscerli e iniziare a immaginare insieme nuove possibilità di collaborazione. Ed è solo la prima edizione, come per la residenza, l’appuntamento è per l’anno prossimo.
Il progetto è piuttosto articolato poiché non prevede solo una mostra collettiva all’interno degli spazi – che già di per sé rappresenta una grande sfida – ma anche la realizzazione di una fanzine, un blog e un archivio.
co_atto non è e non vuole essere un semplice spazio espositivo. Proprio nell’ottica di farsi dispositivo partecipativo e processuale, luogo di indagine e punto di incontro di discipline, intenti e persone, ha deciso di ampliare sempre il più possibile la propria ricerca. Da questa vocazione nasce l’archivio di co_atto che raccoglie doni da amic*, sostenitori e sostenitrici che hanno creduto in noi e ci hanno donato volumi, cataloghi, pubblicazioni indipendenti e numeri di riviste. È iniziato tutto con Grid, il progetto di Eddy Merx Curating arrivato dal nostro amico Diego Bergamaschi, poi lo hanno seguito Osservatorio Futura e Zuper, Associazione Barriera, l’artista Gianluca Arienti, Spazio Gamma e tant* altr*. Inoltre, nell’archivio conserviamo le fotografie della vetrina, alcuni ricordi dei progetti site specific e red_atto, la nostra fanzine. red_atto nasce come weblog a cadenza settimanale – esce tutti i giovedì sul nostro sito – con la volontà di ampliare i temi delle singole esposizioni. A scrivere per red_atto sono professionist* di aree completamente diverse: ricercatori e ricercatrici di ogni campo, curatrici e curatori, critic* letterar* o cinematografic*, archivist*, biolog*, e molt* altr*. A loro chiediamo di non essere accademic* ma di provare a guardare alla tematica dal loro punto di vista, attraverso la loro cultura e le loro conoscenze. Poi, alla fine di ogni mostra, pubblichiamo la fanzine cartacea dove convergono anche le immagini della vetrina dell’archivio, affidata di volta in volta a progetti di editoria diversi. Red_atto viene tirato in edizione limitata e venduto al solo prezzo di stampa. Tutto questo sempre nell’ottica di ampliare i confini dell’indagine in essere e cercare di essere il più apert* e curios* possibili.
Che programmi avete per la prossima stagione espositiva? Avete da poco diffuso una open call per artisti.
co_atto ha lanciato un’open call per la stagione 2022, che scadrà il 30 settembre e servirà a selezionare artist*, creativ* e/o collettivi per la stagione ventura. La call non ha un tema, come non lo avrà la stagione 2022. Abbiamo deciso di concentrare tutta la nostra attenzione per riflettere intorno allo spazio delle vetrine e al rapporto con la realtà del passante e la fruizione del pubblico. L’intento di co_atto sarà dunque quello di aprire spazi di discorso critico, lavorando sulla messa in mostra di processi di semiosi, individuali o collettivi, tramite dispositivi processuali e partecipativi e riflettendo sul rapporto con il pubblico e le possibilità di una fruizione più o meno inclusiva e democratica. Con l’open call si intende promuovere profili artistici e creativi idonei a lavorare in dialogo con le vetrine, nel loro essere al contempo non luoghi e loghi estremamente connotati e connotanti. Nata all’interno della cornice transdisciplinare di co_atto e alla vocazione inclusiva di Artepassante, l’open call è aperta ai diversi linguaggi adottati nell’ambito dell’arte contemporanea: dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla performance, dal suono alle immagini in movimento. Sono aperte le selezioni per creativi e creative di ogni ambito, al fine di garantire sempre una plurivocità di approcci e ricerche. La stagione 2022 si svilupperà in quattro momenti espositivi: un festival di project spaces, spazi indipendenti e progetti di architettura e design (in occasione delle Design Week e della Art Week 2022), una residenza d’artista nei mesi di giugno/luglio, e due mostre dedicate a esplorare la realtà delle vetrine.
Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.
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