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Claudio Olivieri a Mantova. La ricerca dell’invisibile attraverso assonanze cromatiche e luminose

Claudio Olivieri in studio. Ph. Matteo Crosera Courtesy Archivio Claudio Olivieri, Milano

L’Archivio Claudio Olivieri inaugura la sua attività di valorizzazione del lavoro dell’artista con la mostra Infinito visibile, presso il Palazzo Ducale di Mantova. Prima mostra istituzionale dopo la scomparsa di Claudio Olivieri nel 2019, espone – fino al 21 novembre 2021 – trenta opere, tutte di proprietà dell’Archivio.

Come il poeta fa con le parole, Claudio Olivieri (Roma, 1934 – Milano, 2019) fa con i colori. Se la poesia si compone di versi, la pittura di Olivieri è fatta per velature. L’artista – nato a Roma, vissuto tra Mantova e Milano – crea paesaggi inconsci, mondi ignoti. In una nota autobiografica, Olivieri ci rivela che stando nel suo studio, si domanda da dove vengano queste ombre colorate che ogni tanto accendono la sua mente; cosa lo spinga a tentare di dare forma e pienezza a ciò che a volte teme sia un puro fantasma. Le sue tele costringono a un viaggio a ritroso nel proprio inconscio, presentandosi a noi come spazi da abitare e da interrogare.

La mostra Infinito visibile propone trenta lavori dell’artista, esposti seguendo assonanze cromatiche, luminose, tematiche, piuttosto che un ordine cronologico. Lo spettatore può così notare come in Olivieri ci sia una sperimentazione cromatica continua, che lo ha portato a tornare a lavorare sui medesimi colori (giallo, rosso, azzurro), per proporli sempre attraverso una luce nuova. Luce che è una delle parole chiave della sua intera produzione, cominciata alla fine degli anni Cinquanta e interrotta nel 2014 dalla malattia. Le tele di Claudio Olivieri, infatti, sono dei bagliori, dei barlumi, che anche quando si spengono nell’oscurità, questa non è mai infernale, perché dell’inconscio.

Claudio Olivieri. Infinito visibile, Mantova. Installation view Ph. Fabio Mantegna

Come un poeta con le parole, Claudio Olivieri con i colori, il pennello e la tecnica a spruzzo ricerca l’invisibile. Una forma evanescente, vaporosa, che sfugge a qualsiasi definizione geometrica. Seppur, nei primi anni Cinquanta, Olivieri abbia usato un segno più informale. Non a caso, apre la mostra un disegno a china che rimanda ad Hans Hartung (1904-1989), artista informale francese, la cui gestualità controllata è spesso il risultato di una lunga preparazione e riflessione. Tuttavia, Hartung nei suoi lavori esprime se stesso attraverso le linee, sostituite dai colori nell’opera di Olivieri. Sono diversi i disegni esposti in mostra, i quali occorre considerarli non tanto come bozzetti preparatori, entità autonome, quanto piuttosto come parte integrate dell’opera stessa.

Come afferma Matteo Galbiati, curatore dell’Archivio Claudio Olivieri, se Claude Monet è il più impressionista degli Impressionisti, Claudio Olivieri è il più analitico tra i pittori analitici. A seguito delle esperienze concettuali, la pittura analitica si afferma negli anni Settanta in Europa – Italia, Francia, Inghilterra – e negli Stati Uniti, riaffermando il linguaggio della pittura e soffermandosi sugli elementi costitutivi del colore e del segno. La dimensione del dipingere viene affrontata con particolare attenzione verso le procedure del fare e la fisicità dei materiali. Così Olivieri ha un rapporto intenso con la dimensione materiale della pittura. La realizzazione dell’opera segue il corso delle sue riflessioni, del suo istinto. In particolare, l’uso della bomboletta spray ad acrilico, che l’artista usa nella fase finale della sua opera, gli consente di prendere le distanze dalla tela, per interrogarla da “esterno”. L’arte di Olivieri è un viaggio interiore, una ricerca dell’invisibile. Olivieri alla domanda “Come fai a capire che la tua opera è finita?”, rispondeva sempre che era l’opera stessa a indicargli la sua completezza. È un ulteriore particolare necessario a spiegare il rapporto analitico dell’artista con la pittura.

Claudio Olivieri, Metempsicosi, 1984, olio su tela, 220×200 cm. Ph. Fabio Mantegna. Courtesy Archivio Claudio Olivieri, Milano

Il titolo della mostra, Infinito visibile, sottolinea come l’intenzione di Claudio Olivieri sia sempre stata quella di mostrarci l’infinito, attraverso l’accordo tra cromie e luminosità. Davanti alle sue grandi tele l’osservatore si sente inghiottito dall’inesauribile forza dell’altrove. Un altrove costruito attraverso il colore e la luce, che fanno del dipinto un elemento altro da interrogare. Il colore, che, come afferma Arianna Baldoni – curatrice dell’Archivio Claudio Olivieri – si tramuta in rime segrete. Sono infatti diversi i rimandi della sua pittura con la poesia dei Poeti maledetti, di Walt Whitman, di Dylan Thomas, di Lenore Kandel e infine, di Wislawa Szymborska.

Tuttavia, Claudio Olivieri ha guardato anche alla storia dell’arte. Soprattutto all’arte classica, come testimoniato dal titolo di alcune opere: Thule (1970), Gli occhi di Atlantide (1978), Hera (1987). Tutti riferimenti al mito, citazioni trasfigurate dalla pittura analitica e astratta dell’artista. Nondimeno, egli guarda a diversi autori dell’Espressionismo astratto, in particolare a Mark Rothko, al suo segno languido, alle sua masse fluide corrose nei contorni.

Mantova, come sede della mostra, non è una scelta casuale. È la città in cui Claudio Olivieri ha trascorso la sua infanzia e giovinezza, in seguito al trasferimento da Roma, sua città natale, dopo la morte del padre, ricongiungendosi con i nonni materni. Indissolubile, infatti, il rapporto dell’artista con la sua famiglia e soprattutto con la moglie, la più severa critica del suo lavoro, del cui giudizio si fidava ciecamente.

Claudio Olivieri ci insegna a inseguire la luce, che nelle parole dell’artista, non si posa sul mondo, ma lo rivela fondandolo.

Claudio Olivieri, Rubeo, 2008, olio su tela, 240×180 cm. Ph. Fabio Mantegna. Courtesy Archivio Claudio Olivieri, Milano

Informazioni

Il catalogo della mostra sarà presentato al termine della mostra.
L’esposizione è aperta al pubblico da martedì a domenica con orario 10.00-18.30

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