Prosegue l’affondo di Tornabuoni Art nella vita e nell’opera di Alighiero Boetti. Dopo la mostra Salman Alighiero Boetti – presso Tornabuoni Art Milano (settembre 2021) – che ha reso omaggio alla figura di Salman Ali, storico assistente di Boetti, la galleria presenta la bellissima mostra Alighiero Boetti – Pensando all’Afghanistan, aperta dal 18 ottobre 2021 a Parigi. Il nuovo progetto guarda lontano, si perde nelle dune del deserto, approfondisce il legame intercorso tra Alighiero Boetti (1940 – 1994), l’Afghanistan e il suo popolo.
Alla ricerca di “qualcosa di lontano”, Boetti arriva in Afghanistan per la prima volta nel 1971. Da qui in poi, per 23 anni, il rapporto con il paese, così distante geograficamente e culturalmente dall’Italia, andrà sempre più approfondendosi. Sintomo di questa connessione sono le tante opere che l’artista realizzerà in Medio Oriente, dalle Mappe ai Lavori postali, dai Ricami ai Tra sé e sé, fino agli emblematici Tutto. Le sue intenzioni artistiche, la sua esperienza del paese e la sua curiosità intellettuale danno vita a opere che agiscono come sismografi culturali e geopolitici. Il suo lavoro diviene quindi una testimonianza unica delle trasformazioni socio-politiche che hanno interessato il Medio Oriente negli anni ‘70 e ‘80.
Nel 1971, l’Afghanistan, governato dal riformista Shah Mohammed Zahar, era un paese aperto. Luogo di scambio e di commercio dove si incontrano commercianti indiani, pakistani e iraniani ed espatriati europei. Questo ambiente, unito ai diversi viaggi compiuti da Boetti, portarono l’artista a concentrarsi sull’aspetto degli spostamenti e dei legami tra i paesi lontani. Come simbolo di questo sentimento individua le missive postali e, in particolare, i francobolli. Il colore, il disegno, il posizionamento: i francobolli sulle buste assumono un valore estetico inconsapevole. A Kabul, Alighiero Boetti incontrò Dastaghir, un giovane impiegato dell’albergo dove alloggiava, che lo aiutò a procurarsi la grande quantità di francobolli necessaria per i Lavori Postali. Fu sempre lui a metterlo in contatto con le ricamatrici che avrebbero realizzato le sue Mappe.
Ognuna delle sue Mappe, ricamate con la tecnica ancestrale afgana, è una radiografia del suo tempo, un ricordo della caducità dei concetti nazionalisti e una variazione infinita della stessa regola. Vediamo le bandiere cambiare secondo le fluttuazioni geopolitiche del mondo, ma anche i mari, a volte verdi, viola o blu, unici spazi di innovazione cromatica lasciati alla volontà delle ricamatrici afgane che spesso non potevano che immaginare l’oceano da questo territorio senza sbocchi sul mare che è l’Afghanistan.
Tra Kabul e Peshawar venne realizzata anche la serie dei Ricami. Queste opere sono composte da griglie a mosaico di lettere che si
combinano in parole e frasi che lo spettatore deve decifrare secondo una direzione di lettura che varia da un’opera all’altra. Le frasi selezionate sono prese da proverbi, citazioni o poemi sufi. L’idea è di creare un ponte tra Oriente e Occidente, tra contenuto e forma.
Concetto simile per i due Tutto in mostra. Uno è una rara copia bicolore che rappresenta una costellazione fatta di mappe nere dell’Afghanistan su sfondo bianco. L’altro è un crogiolo di diversi simboli e forme culturali riconoscibili che, affiancati, fondono le proprie identità in un Tutto, un «Intero». Si può lasciar vagare lo sguardo sul ricamo e scoprire una chitarra, una mano che si agita, una pipa, uno squalo, una pistola, un pennello, una lettera… Alcune forme sono lasciate all’apprezzamento dello spettatore: una forma rotonda può essere un sole, una sfera o un occhio. È un gioco senza fine di indovinelli colorati.
L’ultima serie di lavori, Tra sé e sé, racconta del ritorno stabile in Italia nel 1980, momento in cui l’Afghanistan diventa inaccessibile a causa del contesto politico critico e dell’invasione sovietica. Alighiero Boetti si isola e dà vita nel suo studio romano ad una nuova serie di lavori, che rappresenta ed esprime la sua profonda disillusione nei confronti dell’umanità, dei disordini politici e delle divisioni del mondo. Su alcune opere, l’artista incolla ritagli di giornale e foto ritagliate, come a catturare su carta le sue preoccupazioni e i suoi pensieri.
«A volte facevamo dei ritagli di carta delle nostre mani e li mettevamo sul pavimento, un paio per ogni lato della stanza. Li abbiamo poi collegati con una lunga linea di lettere e oggetti di varie forme e dimensioni, di solito iniziando con i pezzi più piccoli, prima di aggiungere quelli più grandi. Quando questa lunga linea di «tutto» era pronta, Alighiero metteva le mani a un’estremità di essa e io facevo lo stesso all’altra estremità, bloccando così gli oggetti posti tra noi e completando il circuito. Abbiamo chiamato questo gioco Tra me e te e abbiamo finito per realizzare una serie di opere ispirate ad esso. Ha chiamato la serie Tra sé e sé.»
Agata Boetti, Il Gioco dell’Arte, Mondadori Electa, Milan 2016