Francesco Messina. Prodigi di bellezza celebra il grande scultore figurativo a 120 anni dalla nascita. A Vercelli sono ben tre le sedi a ospitare l’evento. ARCA, la Pinacoteca Arcivescovile e l’ex chiesa di San Vittore. Dal 19 dicembre 2021 al 27 febbraio 2022.
“É un’armoniosa e feroce giovinezza la sua, che si esprime in opere di ritmo e leggiadria” diceva Eugenio Montale di Francesco Messina. Probabilmente aveva di fronte una ballerina in bronzo, tanto leggiadra da sembrare volteggiare, come una nuvola, verso il cielo. Per lui sono come sirene del suo tempo, figure suadenti e ammalianti per bellezza ed eleganza. Veri e proprio prodigi. Ed è proprio da questo stupore davanti alla meraviglia estetica che prende il titolo la mostra Francesco Messina. Prodigi di bellezza.
A ospitarla è Vercelli, che dispiega ben 3 sedi espositive per raccontare tutto quel dello sculture vogliono trasmettere. Del resto si tratta – insieme a Giacomo Manzù, Arturo Martini e Marino Marini – di uno dei massimi scultori figurativi del Novecento. Così, in occasione dei 120 dalla nascita, 120 opere vengono esposte provando a delineare l’ideale di bellezza che Messina ha infuso nelle sue opere.
La sede principale è quella dell’ex chiesa di San Marco, dove sorge il contenitore espositivo nominato ARCA. Una struttura interna, incastonata nella navata della chiesa. Fuori gli affreschi che raccontano il passato dell’edificio, dentro un fitto sovrapporsi di 80 sculture in bronzo, terracotta e marmo. I soggetti rappresentati seguono cinque dei principali filoni tematici dell’artista. Senza la pretesa di esaurirne le sfumature, esse ne evocano però l’intima poesia. Una poetica perfettamente divisa tra il dettaglio figurativo e l’impalpabilità dell’ideale.
Lo si nota tanto nei grandi marmi bianchi (su tutti Adolescenza, dove la complessità psicologica dell’età è perfettamente resa) quanto nelle ballerine. Forse qui, più che in altre circostanze, Messina ha trovato la sintesi tra esistenza e potenzialità. Queste figure paiono vere, ma sono tanto belle e sinuose che paiono incastrarsi maggiormente con un pensiero, piuttosto che con un corpo. Le loro linee danzano con l’ideale, intercettano un’universalità irriducibile al contatto terreno.
Tale sentimento – presente anche nei busti e nei giovinetti – torna con singolare esuberanza nell’ultima sezione, quella dedicata ai cavalli. Qui la bellezza si coniuga alla potenza dell’atto, la stilizzazione delle forme incrocia l’istintività delle linee. Come scrive Germain Bazin “sono cavalli impetuosi e folli che urlano piuttosto che nitrire, scalpitano, s’impennano, precipitano al suolo, si danno alla fuga con scatti brutali come per sfuggire a qualche pericolo“.
La mostra prosegue in alcuni spazi della Pinacoteca Arcivescovile, dove vengono esposte 40 opere a carattere sacro e spirituale. Del resto, scriveva il critico Antonio Paolucci, Messina “sente la bellezza come una fatalità, come un mistero teologico”. Perciò, unendo tale considerazioni al già citato afflato ideale, non sorprende (anche se non è certo la sua produzione più nota) trovare sculture dedicate a santi, prelati, sacerdoti, martiri e così via. Particolarmente impattante il grande bronzo raffigurante Giobbe. Posta a inizio percorso, la sua figura inginocchiata apre le braccia e abbassa il capo, come ad accogliere e invitare alla riflessione.
Non si accede, se non con gli occhi, all’ultima sede del trittico espositivo. L’ex chiesa di San Vittore mostra e nasconde i suoi interni ombrosi, dal quale emerge un grande marmo bianco raffigurante una ragazza. Nonostante la sua pelle non sia proprio calda, si chiama Estate. Non la si può raggiungere, ma solo desiderare a distanza, proprio come tutti gli amori meglio riusciti. Altre opere, disposte sul sagrato, concludono il percorso di una mostra completa ed evocativa. Merito anche di Studio Copernico e della Fondazione Francesco Messina che hanno prestato le opere.