Le MicroDanze sono delle performance danzate della durata di 6-7 minuti. La commistione con il mondo delle arti visive le fanno apparire come dei quadri in movimento. A idearle è stata la compagnia di danza contemporanea Aterballetto di Reggio Emilia. Oltre agli spettacoli di Modena, Atene, Reggio Emilia e Bruxelles, le MicroDanze sono al centro di due importanti “repliche”: una le porta nella realtà virtuale (e di conseguenza in mostra), l’altra per le strade delle città.
Se non avete mai visto le MicroDanze di Aterballetto non sapete cosa sia il corpo umano. Ne potete avere un’idea vaga, quella consolidata in anni di quotidiana ma superficiale osservazione. Vederlo contorcersi ed espandersi – o più semplicemente danzare – libero da vincoli di realtà è però un’esperienza nuova. Differente anche da quella di un balletto più comunemente inteso.
Non solo si tratta di danza contemporanea, quindi già deviante dai tradizionali contesti, ma di performance danzate. Coreografie non frontali e non rigide, ma permeabili al contesto spaziale, capaci di dialogare con universi disciplinari differenti per promuovere l’intimità tra danzatore e spettatore. Così le ha ideate Gigi Cristoforetti, mente originaria antistante le dodici coreografie assegnate ad altrettanti coreografi nazionali e internazionali.
Difatti la natura delle MicroDanze è ambigua, mutevole, sospesa tra dimensioni tangenti ma non sovrapposte. Per iniziare, non le si fruisce in modo classico. Il teatro in cui sono eseguite è aperto, privo di riferimenti tradizionali quali un palco o una platea. Gli spazi d’esibizione variano a secondo della danza; compaiono uno alla volta, il successivo appare solo nel momento in cui il precedente ha esaurito il suo tempo; sono dispersi lungo il teatro, tenuto al buio, in modo che il senso di attesa cresca su due binari: quale sarà la prossima esibizione? Dove sarà situata? Inoltre, se non avete mai visto il luogo, si aggiunge anche il mistero di muoversi tra mura sconosciute, totalmente immersi nella sorpresa, ignari di cosa aspettarsi. Una sorta di museo – lo spettatore è invitato a muoversi da una postazione all’altra, proprio come ci si sposta di sala in sala – dove le opere si muovono attraverso corpi che brillano nell’oscurità.
É stato così anche a Les Halles de Schaerbeek di Bruxelles, lo spazio culturale che ha ospitato una tappa del tour (9-10-11 dicembre 2021) passato prima da Modena (5-6 giugno 2021), Atene (9-10 ottobre 2021) e Reggio Emilia (12-14 novembre 2021). Un’esperienza estetica ed emotiva, esaltante per l’occhio e per l’animo. Le dodici MicroDanze esposte (o eseguite, dipende se vogliamo dare risalto all’aspetto visivo o performativo) sono state coreografate da Philippe Kratz e Diego Tortelli, i due coreografi interni alla compagnia, e da numerosi coreografi ospiti, tra i quali spiccano Angelin Preljocaj e Fernando Melo. Lo spettacolo a tappe è stato allora preso in consegna, di volta in volta, da uno, due, massimo tra ballerini in contemporanea. Dimensioni diverse a quelle classiche, proporzioni ridotte che nuovamente riportano al quadro: per essenzialità degli elementi, per calibrato allestimento scenografico.
Se quindi volessimo agire come all’interno di una mostra, e quindi andare a ricercare un filo tematico che leghi le opere/MicroDanze, questo sarebbe sicuramente quello della fuga. Dalle armoniche distensioni muscolari di Active Motivation di Elena Kekkou – pare un quadro di Egon Schiele in movimento: nudo, nerboruto, nervoso – a The Bell Jar di Fernando Melo – una ragazza balla con il suo doppio nel tentativo di evadere la dicotomia realtà-rappresentazione; questo, con la presenza di due sedie, fa pensare immediatamente a One and Three Chairs di Joseph Kosuth – ogni composizione riflette il desiderio di liberarsi di un gabbia, fisica o ideale che sia.
In taluni casi il sentimento è evidente. Come in Afterimage di Philippe Kratz, dove il ballerino balla per sette minuti nei confini claustrofobici di una stanza minuscola, così piccola che sorprende la gamma potenzialmente infinita di gesti che l’esecutore riesce a mettere in pratica rimanendo sostanzialmente sdraiato. Ancora più pervasiva l’idea di chiusura – ma diciamo pure prigionia – in Carne da Eroe 2.0 di Roberto Zappala, forse l’opera più audace di tutte. Lo vedete il salone buio e due luci ospedaliere, algide, che si accendono su due tavoli che paiono operatori? Ora immaginate su di essi due figure raccolte, piegate, accartocciate su se stesse e avvolte dalla pellicola con cui si conservano i polli al supermercato. Sono immobili, privi di vita, in attesa che qualcuno li acquisti e dia loro un’alimentare sepoltura. Poi uno degli uomini-polli-ballerini si rianima e dà inizio a una danza per la vita, tramite la quale lentamente fora la pellicola e ritrova l’aria di cui fino a quel momento è parso privo.
Ma potremmo citare anche il peregrinare spaziale di Kepler (Diego Tortelli) o gli inesorabili tentativi di Knight Rider (Yannis Nikolaidis) di ballare con indosso una tuta da motociclista. Proprio il ricorso ad elementi eterodossi per il mondo della danza contribuisce ad avvicinare le MicroDanze all’arte contemporanea. Tra questi, oltre ai già citati, ci sono anche i neon, delle assi di legno, una sorta di gesso, il piedistallo di una statua, un telo imbevuto di scritte. Un compendio ausiliare al movimento corporeo, centro costante dell’attenzione, che ne amplifica il senso, propaga suggestioni e induce a riflessioni concettuali.
Un apparato troppo denso perché possa dissolversi con l’effimera natura della danza, del gesto che svanisce non appena compiuto. Per questo Aterballetto si è affidato a due studi specializzati (RE:lab di Reggio Emilia e Riot Studio di Napoli) per riprendere a 360° quattro delle MicroDanze, che possono quindi essere fruite con appositi visori VR. Non si tratta di un adattamento lineare – spesso incapace di riprodurre con efficacia la realtà – ma un prodotto appositamente pensato per essere fruito con la tecnologia VR. La coreografia è stata infatti riadattata per accogliere la telecamera a 360° in scena, con un punto di osservazione che nel video diviene quello dello spettatore.
Il risultato? Indossato il visore ci si ritrova al centro della scena: la si può vivere, spostarsi al suo interno, avvicinarsi ai ballerini e farsi avvicinare, provare a sfiorarli e, perché no, improvvisare qualche piccolo passo insieme a loro. Un’occasione per vederle è a Reggio Emilia, fino al 16 gennaio 2022, in occasione di MicroDanze/2 – Reggio Emilia. La mostra di Palazzo da Mosto, curata da Marina Dacci, affianca alle MicroDanze (eseguite dal vivo durante l’inaugurazione di novembre 2021) le opere di artisti visivi quali, tra gli altri, Fabrizio Cotognini, Silvia Giambrone, Namsal Siedlecki e Sissi.
Proprio dalla voglia di vicinanza e condivisone nasce l’ultimo atto del ciclo vitale delle MicroDanze: An Ideal City. Il progetto della Fondazione Nazionale della Danza nel 2020, realizzato in partnership con Les Halles de Schaerbeek di Bruxelles e la Greek National Opera di Atene, esplora le potenzialità della danza come arte pubblica, innestata nel paesaggio urbano delle tre città coinvolte. Alcune delle MicroDanze vivono quindi una trasposizione per giovani danzatori locali finalizzata alla realizzazione di una versione urbana. Il risultato è un progetto che vagabonda creativamente tra coreografi diversissimi tra loro, occasioni di incontro con il pubblico radicalmente nuove e in contesti urbani europei significativi. L’intero percorso sarà inoltre oggetto di un docufilm.
Una strenua lotta all’oblio, dunque. E all’inaridimento culturale. E alla noia.
Mica male.
Prossimi appuntamenti
MicroDanze/4: Bruxelles, maggio 2022 (arte pubblica in spazi urbani)
MicroDanze/5: Atene, giugno 2022 (arte pubblica in spazi urbani)
MicroDanze/6: Reggio Emilia, luglio 2022 (arte pubblica in spazi urbani)
MicroDanze/7: Brescia, marzo 2023 (esposizione danzata + esperienze immersive)