Laocoon Gallery presenta a Londa la mostra Alberto Martini. Masks and Shadows. In programma fino al 28 febbraio presso la sede della galleria in Ryder Street, comprende varie opere tra disegni a penna e a matita, acquarelli, incisioni, litografie.
Penna e inchiostro di china al servizio di un’immaginazione visionaria. Potremmo riassumere così l’attività artistica di Alberto Martini (Oderzo 1876-Milano 1954), uno dei più originali e bizzarri tra gli illustratori europei di primo Novecento. Una tecnica minuta e ossessiva la sua, coltivata in una dimensione del tutto personale. Là sul crinale tra simbolismo ed espressionismo. Partendo dalle suggestioni delle opere letterarie da lui illustrate – Poe, Shakespeare, Mallarmé, le più importanti – arrivò a intuire la trama di un movimento che sarebbe andato a definirsi di lì a poco. A ciò si aggiunge il carattere della sua persona, aristocratico nelle sue presunzioni, provinciale e cosmopolita, dandy maniacalmente elegante nel vestire, bizzarro e scostante, altero nei comportamenti, fiero dell’aureola di seduttore e raffinato erotomane di cui si seppe circondare.
Opera capolavoro, tra le tante in mostra, è l’Autoritratto (1905). Vertiginosa opera di penna, dai mirabolanti effetti grafici di tessitura d’ombre. Qui il giovane Martini si presenta come perfetta figura di bel tenebroso: cravatta a fiocco nera che pare un fiore e una farfalla, e una minuscola donna nuda dalle ali di lepidottero, che si appoggia sopra una tavola disegnata dell’artista, quella per la Berenice di E.A. Poe.
Quelle per i racconti di Poe, cominciate nel 1904, sono appunto le illustrazioni più note di Martini. Non furono mai pubblicate in volume finché l’artista fu vivo, ma solo nel 1985, in sontuosa veste editoriale, da Franco Maria Ricci. Di queste ne sono esposte sei, tra cui due grandi – notturni a china i cui lumi accende il bianco della carta – dedicate a Hop Frog, con l’orrido olocausto del tetro giullare – e William Wilson, in cui è l’artista stesso a sdoppiarsi nel suo minaccioso doppelgänger.
Segue per importanza Il poema delle Ombre. Si tratta di una serie di una trentina di volti mascherati. Evocano il carnevale veneziano, le maschere nere dei ladri e dei congiurati d’altri tempi, i volti femminili velati dei romanzi del mistero, tutte velocemente improvvisate a pennello e inchiostro come “macchie di Roschach” casuali che per satanico prodigio prendono la forma di volti che ci guardano sfrontatamente dai buchi del loro mascheramento. In questa galleria il carnevale si trasforma da sogno ad incubo.
Una serie di matite e disegni testimonia della collaborazione che Martini ebbe nel 1905 con La Lettura, il supplemento letterario del Corriere della Sera. Del resto Martini non fu estraneo a incursioni editoriali, come quando illustrò la rivista di Marinetti Poesia. Da futurismo, cubismo e surrealismo Martini non fu immune, come rivela l’acquarello Aurélia, illustrazione per la poesia di Gérard de Nerval.
Dal 1928 al 1936, infatti, Martini visse a Parigi, creando un suo particolare genere di “pittura nera” e di “pittura color del cielo” che egli pensò culmine della sua arte. In realtà la sua massima creazione, tanto in ardimento di visionarietà che di straordinarietà tecnica è forse il ciclo dei Misteri, del 1915. Raffinatissime litografie che l’arte non aveva mai finora saputo concepire tali, e che precedono tutto ciò che il surrealismo saprà inventare nell’arte, nella fotografia e nel cinema. Di Martini incisore si presentano anche due esemplari del ciclo delle Sirene a puntasecca.