Trittico di suggestioni per la nuova stagione espositiva di Fondazione ICA Milano che fino al 3 marzo 2022 ospita in un dialogo-non dialogo le narrazioni multidisciplinari di Olympia Scarry, artista svizzero-americana, Maria D. Rapicavoli, italiana con base a New York, e Christine Safa, francese di origini libanesi. Tre generazioni e storie differenti per altrettante poetiche d’ispirazione che si incontrano negli spazi di via Orobia 26 come in un castello dei destini incrociati, tra scultura, video e pittura. A cura di Alberto Salvadori.
Olympia Scarry, White Noise.
Si tratta della prima personale in Italia dell’artista svizzero-americana (1983), ospitata al piano terra della Fondazione, per cui ha realizzato un nuovo corpus di opere scultoree e che, per l’occasione, sono poste in relazione con le pratiche video e performative degli artisti Allora & Calzadilla e il compositore Stephen O’Malley. Minerali cristallizzati, disegni incisi sulla pietra, vetro borosilicato, pitture a olio su carta si flettono e riflettono sugli effetti del suono e del tempo, l’elemento naturale è così manipolato attraverso interventi artificiali creando una sospensione alchemica che immobilizza e sfida la natura stessa.
White Noise, il suono bianco, “è in altre parole un suono trasmesso in modo casuale che può avere uguale intensità a frequenze diverse e al quale è conferita una densità di potenza costante come nella luce bianca, che pur apparendo tale è definita come la miscela complessa di tutte le lunghezze d’onda dello spettro visibile”. A queste interferenze geologiche si accompagna il video Breaking Into Trunks del duo portoricano Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, il cui titolo riprende una storia del IV secolo a.C. attribuita al filosofo taoista Zhuangzi, che contempla la natura della saggezza a i suoi effetti sull’ordinamento del mondo. Il film racconta il processo di abbattimento di un albero bicentenario avvenuto durante l’ultima luna piena nell’autunno del 2016, “momento in cui la linfa ha raggiunto il suo livello più basso, rendendo il legno più secco e le sue proprietà acustiche migliori”. Ancora in corso di programmazione è invece la performance di Stephen O’Malley, Avaeken, eseguita dall’ensemble di chitarre elettriche belga ZWERM e che si sposerà con le opere di Olympia Scarry. Dal nome di una quercia millenaria che si trova sull’isola di Faro a Gotland (Svezia), la composizione riflette sulla brevità dell’esistenza umana di fronte a cui, come contraltare, si pone quest’albero reale, sopravvissuto a epoche e condizioni meteorologiche insondabili.
Maria D. Rapicavoli, The Other: A Familiar Story.
Violenza di genere, abuso domestico, migrazione e memoria sono le tematiche affrontate nella video installazione a doppio canale presentata all’interno della project room della Fondazione. Il progetto di Maria D. Rapicavoli (1978), vincitore della VI edizione di Italian Council (2019), tesse le fila dalla storia biografica di una donna siciliana, la cui memoria è stata tramandata all’artista dalle donne della sua famiglia: la protagonista, prima costretta a sposare l’uomo che l’aveva stuprata e poi a seguirlo a Boston in cerca di lavoro, vive una condizione di doppia alterità, è “altra da suo marito e altra rispetto al contesto sociale in cui vive”.
Il racconto si muove così tra narrazione storica dell’emigrazione italiana e narrazione personale di una donna vittima della struttura patriarcale dell’epoca attraverso una voce fuoricampo che si perde tra flashbacks e immagini in slowmotion, l’ambientazione è più psichica e sociale che geografica e contribuisce all’immedesimazione dell’osservatore nella condizione vissuta dalla protagonista. Prendendo ispirazione da Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir, l’opera di Rapicavoli “tratta la condizione di essere altro all’interno di una relazione violenta e in un luogo non familiare e si richiama al concetto di un-heimlich che, secondo Freud, descrive la condizione in cui coesistono gli opposti stati di estraniamento e familiarità”.
Non mi è mai stato permesso di parlare. La voce che senti non è la mia. E la storia che racconto neanche. Ma è molto vicina perché è fatta dei ricordi di chi mi ha conosciuta e di chi ha sentito parlare di me.
Christine Safa, C’era l’acqua, ed io da sola.
Tra astrazione e figurazione, la poesia pittorica di Christine Safa (1994) vibra luminosa, calda e contemplativa al primo piano della Fondazione. Per lo più di pitture su tela, oltre che dipinti su carta, è il corpus di opere di recente realizzazione (2021) che costituisce la prima personale dell’artista franco libanese in Italia e in un’istituzione pubblica.
Conosco un altro luogo che è sempre accanto a me; il soggetto non è altro che il contatto del mio corpo con tutto quello che c’è attorno, il tempo, sinestesia, uno stato fondamentale: essere qui.
(La consuetudine del cielo, Christine Safa)
Pigmenti e polveri di marmo stratificati compongono i paesaggi emozionali dell’artista, elegiache visioni di panorami –Source II, 2021; Montagne II, 2021- e visi umani –II y avait l’eau, et mio toute sule I, 2021; Le soleil à travers tes cheveaux (Venise) I, 2021- che si rincorrono e confondono nelle nuance mediorientali di ricordi e pensieri rivolti alla sua terra d’origine, il Libano, “sebbene sia nata e cresciuta in Francia, sin da bambina Safa ha condotto con la famiglia numerosi viaggi in Libano. Grazie a queste esperienze e ad una narrazione della storia e delle tradizioni del paese avvenuta prima oralmente tramite la sua famiglia e successivamente attraverso letture di opere poetiche e geopolitiche, il legame con le sue origini si è rafforzato fino a plasmare inevitabilmente l’identità e l’immaginario dell’artista”. L’elementarità dei soggetti, sole, mare, montagne e alberi, e quella poesia sospesa dettata da colori caldi e contemplativi incontrano il lavoro di Etel Adnan, celebre poetessa e artista libanese scomparsa lo scorso 14 novembre a Parigi, che per Safa diventa figura d’ispirazione e riferimento e che grazie alla quale riesce ad affrancarsi dallo spettro della pressione concettuale imposta oggi alla pittura contemporanea.
Fondazione ICA Milano
via Orobia, 26, Milano