Caveman – Il gigante nascosto, il film dedicato all’artista Filippo Dobrilla, nelle sale italiane dal 21 febbraio. Clip in esclusiva per Artslife
Caveman – Il gigante nascosto, presentato nelle Giornate degli Autori all’ultima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film dedicato all’artista Filippo Dobrilla arriva nelle sale italiane dal 21 febbraio.
In una grotta delle Alpi Apuane, 650 metri sottoterra, si trova una delle opere d’arte più profonde al mondo. È un colosso di marmo, un gigante nudo e addormentato nel cuore della terra. Lo scultore Filippo Dobrilla ha lavorato a quest’opera per più di 30 anni in completa solitudine nell’oscurità della caverna. Uno degli abissi più profondi d’Europa diventa così teatro e utero per la nascita di un’espressione artistica ambiziosa, e invisibile, che scaturisce dalle profondità della natura e che in esse rimane custodita, in completa solitudine.
Nella sue sculture, di creta, bronzo e marmo, Filippo Dobrilla cerca di far rivivere i grandi artisti del Cinquecento toscano (su tutti il Cellini, lo studia, lo ammira, gli parla), guarda ai giganti dell’arte, cerca con loro un dialogo, una connessione. È un artista isolato (un disoccupato dell’arte, dice), negli anni ’90 viene scoperto da Sgarbi che lo lancia sul mercato, lo supporta e accende su di lui i riflettori. Il gruppo scultoreo Davide e Gionatan (“gli amici gay”, come lo chiama lui) viene prima esposto in Biennale e poi a Expo 2015. Ma questo scultore, da molti (frettolosamente) etichettato come eccentrico, sembra più imabrazzato che lusingato da queste attenzioni, come conscio del necessario compromesso tra la sua integrità di poeta e le incombenze materiali della vita (e dell’arte stessa).
Caveman, diretto da Tommaso Landucci, indaga questa storia, segue lo scultore speleologo, ne ricostrisce le passioni e le abitusini, muovendosi fra gli anni giovanili di Filippo, il suo desiderio di una vita isolata, la sua concezione di un’arte pura, antica e senza compromessi. Per lui la discesa nell’oscurità della grotta rappresenta un rifugio, un riparo e un’ispirazione, uno spazio di libertà, protetto e distante da pregiudizi e condizionamenti.
È un artista lontano del mercato dell’arte, solitario, alleva capre in un podere, lavora materiali antichi, cerca nella natura il suono della storia, studia il proprio corpo, modello elettivo dei propri lavori, che diventano autoritratti universali. Cerca nelle montagne la passione erotica della creazione artistica, gli impulsi primordiali dei lombi, ascolta il suono dei materiali antichi e la saggezza silenziosa della natura.
E così, proprio nello spazio liminale dell’abisso, questo scultore solitario ha trovato l’habita naturale del suo fare artistico, di un’arte che si è fatta sinonimo di esplorazione, esplorazione del mondo naturale (all’esterno di sé) e di quello interiore (dentro di sé), lavorando la pietra, il calcare, la roccia, con scalpello e mazzuolo, nudo nell’oscurità che lo accoglie e lo protegge.
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