Quali strumenti per riprendere un dialogo tra arte contemporanea e cittadinanza?
Il punto è semplice: in Italia ci sono alcune (poche) città in cui il fenomeno artistico contemporaneo è vibrante, mentre nel resto del territorio l’intervento artistico legato all’arte contemporanea sta finendo con l’identificarsi nella realizzazione di opere di street-art (quando va bene) o di decoro delle facciate (quando il committente chiede agli artisti di realizzare qualcosa di “gradevole”).
L’assenza di arte contemporanea rinvenibile in molti centri minori è un errore culturale e politico, cui mezzo secolo di arte autoreferenziale fornisce un alibi piuttosto solido. Ma l’arte contemporanea è la nostra arte. Quella del nostro tempo.
Il problema è che spesso non ci sono le caratteristiche organizzative e le risorse economiche per favorirne lo sviluppo e, diciamolo, la “rottura” tra arte contemporanea e società contemporanea rende poco appetibile un investimento in arte contemporanea agli occhi dei politici, che in fondo vivono di consenso.
L’ipotesi lanciata dal Trust per l’Arte Contemporanea di Bologna è una soluzione che andrebbe, in questo senso, ben studiata da tutte le piccole e medie municipalità. Al di là della forma giuridica che si intenda fornire all’operazione (nonostante il trust rappresenti uno strumento veramente utile a questo scopo, continua ad incontrare notevoli resistenze nel nostro Paese), l’idea di istituire una partecipazione pubblico privata in cui differenti soggetti partecipano, attraverso competenze e investimenti, alla valorizzazione dell’arte contemporanea in un dato territorio, è un’azione che potrebbe essere molto interessante ed economicamente sostenibile, se ben strutturata.
Il punto cruciale dell’arte contemporanea è che è evidente che sono poche le persone che la seguono, che vi si appassionano. Ed è inutile stare ad interrogarsi su chi abbia la responsabilità di questa separazione: se è l’arte che è divenuta sempre più elitaria (per contenuti e per “framing”) o se è la società che è sottoposta ad un processo di sovraccarico informativo che rende sempre più difficile per le persone fermarsi a riflettere approfonditamente su un’opera d’arte e sulle fonti che in essa sono citate.
Quel che conta è capire come far sì che arte contemporanea e cittadinanza riprendano un dialogo, lento ma progressivo, per ricucire uno strappo che nei fatti determina una privazione per i cittadini stessi: quella di potersi confrontare con opere artistiche con cui condividono le premesse e i “non detti”.
È qui che entra in gioco una visione “dinamica” della produzione artistica e della gestione della produzione artistica contemporanea: perché un processo di questo tipo ha necessità di tempo. E ciò implica la necessità di risorse economiche.
La definizione di un soggetto giuridico che, a beneficio della collettività, riceva dei finanziamenti pubblici e privati per la produzione artistica e che nel frattempo possa anche attivare processi di autofinanziamento è probabilmente l’unica strada per uscire dalla condizione di stallo che vede oggi “cittadini” e “arte contemporanea” in due angoli differenti di due differenti ring.
Ma il corollario di questa visione è che il nostro Bel Paese accetti che la produzione artistica, nella nostra società contemporanea, sia anche oggetto di scambio, di vendita, di collezionismo e di “commercio”. Perché nel mondo degli artisti viventi, l’arte si vende, l’arte si compra, l’arte si colleziona, l’arte la si “detiene” in attesa di surplus economici o per motivi personali. Insomma, l’arte “circola”.
Se riusciamo ad accettare che l’arte, per propria intrinseca natura, non nasce in un contesto ovattato ma in un mondo fatto in primo luogo di scambi, allora è possibile definire visioni, strumenti, capacità di management e strategie per poter costruire questo tipo di percorso.
In caso contrario, aspettiamoci pure una grande produzione artistica contemporanea nei centri più ricchi, e una produzione minore, per quantità e qualità, nel resto del territorio.
L’alternativa è prevedere che questo processo venga finanziato tutto attraverso la spesa pubblica: alternativa dignitosissima, perché non è scritto da nessuna parte che l’intervento pubblico sia sbagliato aprioristicamente.
Però per questa alternativa o non ci sono le risorse, e allora il finanziamento esclusivamente pubblico non è percorribile su tutto il territorio nazionale, o le risorse ci sono, e allora chi ci ha governato sinora non è stato competente.
E non c’è niente da capire.