Senza Fine, il documentario su Ornella Vanoni diretto da Elisa Fuksas arriva al cinema, in sala dal 24 febbraio
Una settimana (o poco più) alle terme con Ornella Vanoni. Cosa potrebbe mai andare storto? Tutto. Elisa Fuksas, regista, prova a dirigere “la Vanoni” in un documentario per raccontare, più che la sua storia (notoria), la sua persona. Ma Ornella si dirige da sola, ecco quindi che il documentario, tra bagni in piscina, ginnastica posturale e sauna, si trasforma in un dietro le quinte, in un work in progress, mescolando realtà e un pizzico (non è dato sapere quanto) di finzione.
«Mi sembra di aver vissuto quattro, cinque vite» dice Ornella, ed è vero. Il debutto e la storia d’amore con Giorgio Strehler, Milano e le canzoni della mala, la fuga verso la musica leggera, la voglia di vivere, finita invece tra le braccia (professionali e non) di Gino Paoli e la canzone d’autore, il lavoro prima di tutto, la depressione, la vita che accade tra un disco e l’altro. Ornella Vanoni si è raccontata innumerevoli volte, in due autobiografie, nelle interviste, nelle ospitate in TV, ma a 87 anni ancora ha voglia di lavorare, di cantare, di raccontare di sé, di vivere. «Sono sempre stata libera ma sempre molto triste. Cercavo di riempire i vuoti con l’amore, e non bisogna farlo. L’amore o c’è o non c’è. Oggi non sono solo libera, sono liberata. A 80 anni di certo non penso più all’amore… Magari al sesso. Il sesso può essere anche divertente. Se non ti intrippi in una storia che dovrebbe durare tre giorni e la fai durare tre anni» ha scritto in Piccole Storie di Ornella V., una sorta di appendice al memoir liberatorio del 2013, Una Bellissima Ragazza. La Mia Vita.
«Perché fare un film su di me? Me lo sono chiesto anche io», commenta lei nel documentario, un po’ ironica e un po’ seria, come suo solito, con un velo di malinconia negli occhi. In Senza Fine ritroviamo una Vanoni ormai familiare un po’ diva, un po’ nonna linguacciuta che ha occhi solo per il suo barboncino (Ondina). Chi non ha mai sentito il racconto dell’incontro con Paoli? Le avevano detto che lui era un frocio che scriveva canzoni orrende (gay non si usava ancora), a lui avevano detto che lei era lesbica. Lui suonava malissimo, suona ancora malissimo – ribadisce – ma Il cielo in una stanza non le sembrava affatto orrenda, timidamente allora gli chiede di scriverle una canzone, nasce così Senza fine (le mani grandi sono quelle di Ornella), la canzone che dà anche il titolo al documentario. E poi l’amore per la musica Brasiliana (Giorgio Vinicius de Moraes e Toquinho), le canzoni con Lavezzi, e poi e poi e poi… Ma è impossibile essere sazi di queste storie perché a raccontarle è lei.
«Sono anche un po’ stufa di essere Ornella Vanoni», dice, poi litiga con la regista (per davvero? Per finta?), dorme fino a tardi, è stanca, non si presenta sul set («ma chi me lo ha fatto fare!»). Alle interviste si alternano un paio di filmati d’archivio (pochi e belli) e qualche scena dal sapore sorrentiniano (in piscina come una sirena magica e misteriosa, tra i corridoi dell’hotel, in un tempo che sembra essere sospeso, senza fine, per l’appunto), il documentario nelle intenzioni originali avrebbe dovuto essere girato tutto così, con un respiro cinematografico?, Ornella l’ha boicottato? È tutto un gioco meta? Chissà. Tutto vero, tutto finto: gli artisti, le loro vite, è così che va.
«Io sono spudorata, ormai lo sanno tutti, non me ne importa di niente», Ornella Vanoni è stata giovane, timida, insicura, depressa, fuori posto, tutte cose che ormai sembrano essere lontane, interprete raffinata, hanno detto in molti, ora è un’artista libera che ha saputo, sembrerebbe, addomesticare i ricordi, accarezzando quelli più piacevoli e tenendo a bada quelli più dolorosi: «Ne ho già avuti molti di strazi, grazie», a posto così, L’appuntamento, Mi Sono Innamorato di Te, sembrano non appartenerle più (una sfigata sotto l’ombrello!), fanno parte di lei, certo, del suo DNA artistico, ma non la dominano più.
Ma fa caldo, ha mal di stomaco, nessuno è pronto a porgerle una sedia, Ornella è stufa marcia, Lavezzi non risponde al telefono, Ondina si butta in piscina (indisciplinata come la sua padrona), vengono a trovarla Vinicio Capossela e Samuele Bersani, che per lei ha scritto il testo di Isola, cover di un brano di Ryūichi Sakamoto (una delle canzoni più belle del suo ricchissimo repertorio? Io dico di sì).Sì, ma ‘sto documentario dove sta andando?, deve finire. Ma come lo finiamo, le chiede la regista leggendo il copione in assenza della sua protagonista, sfuggente, con in testa già altri pensieri, altri progetti, mancano le scene. Appunto, senza fine. Ma Ornella preferisce giocare con Ondina, sul pavimento, come una bambina, perché giocare vuol dire sovvertire le regole, impadronirsi di uno sguardo sempre nuovo, vivo, obliquo, per scoprire – ancora – qualcosa di inaspettato, diverso, rigenerante.
Senza Fine è così anche il ritratto – oltre che di una cantante unica, con una discografia zeppa di capolavori (non li sa quantificare nemmeno lei) e tutte quelle altre cose giuste e belle e vere che sono già state dette e scritte molto spesso e molto bene – di una vecchiaia serena, cosciente, appagata, che nemmeno lei avrebbe mai immaginato potesse esistere, un’oasi inaspettata: «intanto sono viva!», dice con stupore e forse, finalmente, gioia.
>> Il film è in sala dal 24 febbraio distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.