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L’uomo che ha utilizzato l’arte moderna per torturare i prigionieri

La storia di Alphonse Laurencic, un arredatore che si ingrazia la polizia penitenziaria spagnola inventandosi un nuovo metodo di tortura psicotecnica: delle checas ispirate all’arte della Scuola Bauhaus. Nel documentario di Arte in italiano.

Vassily Kandinsky, Paul Klee, Kasimir Malevitch. Se è vero che l’arte, per natura, si pone all’opposto di guerra e violenza, Alphonse Laurencic è riuscito a servirsene per fare del male. Siamo in Spagna. Nel 1936, dopo il colpo di stato dell’esercito, due fazioni si affrontano: nazionalisti e repubblicani. Nel secondo viene creato il SIM (Servizio d’informazione militare), con lo scopo di scovare le spie o i presunti nemici. Per far parlare questi ultimi vengono create le “checas”, celle di tortura ispirate a quelle dell’Unione Sovietica.

A inventare le più perverse è proprio il pittore e architetto Alphonse Laurencic (1902-1939): cellule strette e basse, vetrate verdi che predispongono alla malinconia, orientate a sud per scaldarsi esageratamente col sole, muri curvi e coperti di motivi geometrici di diversi colori ispirati alla Scuola Bauhaus. Un mix letale per rendere insopportabile la detenzione dei prigionieri.

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