Milano. Salotto Studio ospita fino al 18 marzo 2022 Qualche Nostro Ieri, la prima personale di Xiao Zhiyu (Xupu, Cina 1995). In mostra una serie di dipinti ad olio su tela e di acquarelli su carta selezionati e curati da Salotto Studio. La mostra è visitabile solo su appuntamento.
Lucrezia Musella: Xiao, quando e come nasce questo corpo di opere?
Xiao Zhiyu: I dipinti in mostra da Salotto Studio sono una serie di oli su tela e acquarelli su carta che ho iniziato a realizzare all’incirca nel 2020. Per due anni, dal 2018, ho viaggiato molto senza avere una dimora fissa e soprattutto senza avere uno studio nel quale poter lavorare. Per questo motivo, mi portavo dietro un telaio di 40 x 30 cm che mi permetteva di poter dipingere con più facilità. Molte opere però sono rimaste in case di amici in giro per l’Europa, allora ho iniziato a collezionarle sotto forma di fotografie digitali nel mio IPhone e, ad esse, si sono aggiunti scatti di momenti o situazioni particolari in cui mi ritrovavo. Tutte le foto sono diventate dei veri e propri archivi digitali e ogni nuovo dipinto corrisponde a una foto che ho selezionato direttamente dal mio archivio personale.
LM: La selezione delle foto quindi risponde per così dire a un istinto, allo stato emotivo in cui ti trovi una volta che le hai tutte davanti?
XZ: Si, esatto. Ogni volta che voglio iniziare un dipinto faccio riferimento all’album di foto che ho nel cellulare e, ogni volta, emerge qualche dettaglio di cui non mi ricordavo dal quale rimango affascinato. Altre volte invece, la scelta di una foto avviene perché mi sento attratto dalla sua composizione o perché il ricordo di un preciso momento fa affiorare improvvisamente delle emozioni nuove.
LM: Da qui poi comincia il processo pittorico che in qualche modo evade il dato documentaristico, proprio della street photography che realizzi con il tuo IPhone, sostituendo ad esso una dimensione più intima…
XZ: Per me dipingere una foto significa copiarla ma non in senso letterale. Ѐ una conversazione con me stesso, è un esercizio di memoria durante il quale mi sforzo di ricordare attraverso l’atto del dipingere. Quando scattiamo una fotografia con il cellulare il processo è talmente veloce che non abbiamo neanche il tempo di osservare. Dipingendo concedo a me stesso un momento di riflessione che mi permette di notare dettagli, o di fare collegamenti, che altrimenti non sarei stato in grado di cogliere.
LM: La predilezione di un formato di piccole dimensioni rispecchia in qualche modo l’idea di fotografia e, al contempo, risulta essere il frutto di un approccio molto contemporaneo che si adegua all’esigenza di praticità senza rinunciare alla componente estetica. Questo formato quindi è per te più una scelta o una necessità?
XZ: Direi entrambe. Il telaio da 40 x 30 cm per me è facile da portare dietro e, inoltre, come suggerivi tu, riflette anche quelle che sono le dimensioni della fotografia digitale. Le proporzioni di una foto scattata con l’IPhone sono all’incirca di 4:3, quindi un telaio di questo tipo mi permette di poter rappresentare tutti gli elementi catturati dall’obbiettivo, senza dover tagliare o escludere qualcosa.
LM: Anche il fatto che le opere non sono accompagnate da titoli, bensì da una successione di numeri, si ricollega al processo di archiviazione digitale. Questo approccio fa sì che la vera protagonista sia l’anonimità, il che pone l’osservatore nei panni di un voyeur di una realtà personale che proprio perché soggettiva diviene in qualche modo assoluta e universale. Quale rapporto vuoi che si instauri tra l’osservatore e le tue opere?
XZ: La scelta di non dare nome ai lavori ha una preistoria nelle mie vecchie pratiche perché per un lungo periodo ho riflettuto sul concetto di distanziamento. Ovviamente, per me queste foto sono spesso molto intime -perché sono io che le ho fatte ed io ero presente in ognuno di quegli istanti- però mi sono anche reso conto che, nello stesso tempo, per uno spettatore qualsiasi le persone da me rappresentate non sono nessuno. Ecco, proprio questo stato in bilico tra estrema intimità ed estremo distanziamento per me è un aspetto interessante. Inoltre, quando ripercorriamo con la mente le nostre memorie non le nominiamo, le guardiamo e basta. La pesantezza e la fragilità dei frammenti della mia memoria per un osservatore possono assumere significati completamente diversi e, per me, queste libertà di interpretazione e di percezione del mio lavoro sono profondamente importanti.
LM: Nei tuoi dipinti i toni bassi e l’uso espressivo del blu sembrano suggerire uno stato di malinconia. Cosa ti porta a scegliere di lavorare con l’olio piuttosto che con l’acquarello? Cosa credi di aver imparato da questi due medium?
XZ: Sono abituato a lavorare con la pittura ad olio, l’acquarello è subentrato nel periodo da “nomade” a cui facevo riferimento prima, ed ho cominciato ad utilizzarlo in un momento particolare durante il quale non avevo possibilità di dipingere ad olio nemmeno su piccolo formato. Successivamente, quando ho ripreso a dipingere con l’olio, ho avuto l’occasione di poter paragonare le specificità di entrambi e ho notato che facevo un uso per così dire contrario dei due materiali: l’olio volevo alleggerirlo, l’acquarello invece provavo a renderlo più forte e pesante. L’uno cercava l’altro. Proprio per questo, molti dei miei acquarelli – realizzati esclusivamente con inchiostro blu – risultano più densi rispetto ai dipinti ad olio. Proprio per questo, credo che in entrambi i casi trasudi tale sensazione di malinconia.