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Segni di me. Il corpo, un palcoscenico. A Casa Testori sei artiste si relazionano con Carol Rama

Zehra Dogan, DetailsThe red army in my pants
Carol Rama, L’isola degli occhi, 1967, Occhi di plastica, resina sintetica e smalto su tela, 120 x 160 cm, collezione privata

Apre il prossimo 3 aprile l’esposizione “SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” a Casa Testori, Novate Milanese

In mostra sei giovani artiste nate tra il 1985 e il 1995 in dialogo con Carol Rama: Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem. Al centro dei loro lavori c’è la relazione con il corpo che diventa terreno proprio dell’espressione artistica.

La mostra è concepita come fosse una pièce teatrale – grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cui dipinti, sculture, performance, disegni e fotografie – e mette in scena racconti in cui si mescolano carnalità e passione. Un ottavo protagonista entra poi in scena, il padrone di casa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che hanno per soggetto il corpo femminile.

La mostra segue “Libere Tutte” del 2019, un percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molte artiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità.

La mostra è nata dalla suggestione delle parole impresse sull’invito che, nel 1995, l’artista afro-americana Kara Walker realizzò per la sua prima personale a New York alla galleria Wooster Gardens/Brent Sikkema, “The High and Soft Laughter of the “Negress” Wenches at Night”, che recitavano così: «Non perdetevi l’incredibile “storia di carta” di una negra in schiavitù che narra la sua straordinaria fuga verso la libertà».

Parole, queste, messe in relazione a quelle di un articolo che Giovanni Testori scrisse nel 1979 per la prima pagina del Corriere della Sera, “La vergogna dello stupro”: «Non vorremmo che, come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa che vuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta».

Zehra Dogan, DetailsThe red army in my pants

 

Chi sono le artiste in mostra

Margaux Bricler (Parigi), 1985
Il suo lavoro prende corpo in sculture, installazioni, video, film e fotografie. Diplomata in italianistica e poi presso l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Paris, la sua è una pratica artistica attraversata dalla tematica spinosa della Storia, dalla riattualizzazione dei miti alla luce del presente e della sua crudeltà. La sua ricerca s’impernia su uno oggetto di indagine simultaneamente concreto e immateriale come la Memoria, nella prospettiva di creare un’estetica critica di quella europea.

Binta Diaw, 1995
Spesso declinata sotto forma di installazioni di varie dimensioni, la ricerca plastica di Binta Diaw (nata in Italia da genitori senegalesi) fa parte di una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che definiscono il nostro mondo contemporaneo come la migrazione, la nozione di appartenenza o la questione di genere, attraverso corpo e spazialità. Alimentando la sua ricerca attraverso contributi sull’intersezionalità e sul femminismo, Binta Diaw ci porta nell’esplorazione di molteplici livelli di identità; la sua come donna nera, in un mondo europeizzato; la nostra e quella di un continuo crocevia di storie e geografie.

Zehra Doğan (Diyarbakir-Turchia), 1989
Zehra Doğan è nata nel 1989 a Diyarbakır, in Turchia, ma preferisce definirsi curda. Combattente, attiva e contemplativa, attraverso le sue azioni e i suoi disegni, Zehra ha infatti raccontato principalmente uno stato che non esiste sulla carta geografica, il Kurdistan, la regione abitata dal popolo curdo e smembrata tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, con la caduta dell’Impero Ottomano. Da paladina del suo territorio e per aver fatto conoscere la storia del popolo curdo, nel 2016 Doğan è stata accusata di fare propaganda per l’organizzazione terroristica PKK, di conseguenza è stata arrestata e condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di prigionia. Senza mai arrendersi, Zehra ha continuato a produrre opere all’interno del carcere e far parlare del proprio caso. Il mondo della cultura – e non solo -, si è ribellato alla sua incarcerazione e l’ha supportata, come donna e come artista: dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, English Pen e Amnesty International, ai noti artisti Ai Weiwei e Banksy (autore di un murale dedicato a lei a NewYork); dalla Tate Modern di Londra, al Drawing Center di New York e, in Italia, al Museo di Santa Giulia a Brescia, al PAC di Milano.

Iva Lulashi (Tirana- Albania), 1988
La ricerca artistica di Iva Lulashi parte da tracce trovate, frame che riflettono il linguaggio visivo di una storia del passato comunista albanese, che non è mai stata direttamente vissuta. Inizia successivamente, reagendo così alla censura, a incorporare filmati erotici, confondendo il confine tra gli alambicchi dei filmati di propaganda, scene di sesso, e sane attività all’aria aperta.I corpi rappresentati da Iva Lulashi, principalmente da giovani figure femminili, esprimono la loro ricerca di genuina libertà del desiderio in un’esistenza sociale delle volte anonima.

Giorgia Ohanesian Nardin, 1988
Giorgia Ohanesian Nardin è artista di discendenza Armena attiv_ negli ambiti della danza e della performance. La sua opera si compone di eventi pedagogici e performativi che focalizzano l’esperienza del piacere come forma di resistenza all’oppressione sistemica, mettendo in relazione un approccio transfemminista queer con lo studio di pratiche somatiche. Educat_ nell’ambito della danza, il suo lavoro si manifesta in movimenti/video/testo/coreografia/suono/raduni e ha a che vedere con narrazioni attorno all’ostilità, strategie di sopravvivenza, riposo, attriti, sensualità e cura.

Iman Salem, 1993 (Milano)
Nata in Italia da madre marocchina e padre egiziano, Iman è una fotografa e attivista. Attualmente Il suo lavoro è focalizzato nel creare un archivio visivo che racconta le generazioni di origine migratoria attraverso la fotografia ritrattistica, utilizzando uno sguardo diasporico per affrontare le tematiche della rappresentanza. “Imprimere l’intimità come espressione d’amore per i corpi che abitano uno spazio”.

 

SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico
a cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi
Casa Testori, Largo Angelo Testori, 13, 20026 Novate Milanese MI
3 aprile – 25 giugno 2022
INAUGURAZIONE: 2 aprile 2022 dalle 16.00 alle 19.00
www.casatestori.it 

 

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