A Treviso Fondazione Benetton Studi Ricerche e Fondazione Imago Mundi si uniscono in una felice collaborazione dal titolo “Treviso Contemporanea”, un progetto che nasce dalla volontà di far riflettere il pubblico invitandolo a ripensare la percezione del mondo e il ruolo che ciascuno di noi svolge all’interno di un contesto sociale e politico ormai globalizzato. Fino al 29 maggio 2022 sarà infatti possibile poter beneficiare di un percorso espositivo declinato in tre differenti sedi della città di Treviso, grazie all’acquisto di un unico biglietto.
La città di Treviso si accende e punta i suoi riflettori su un tema tanto attuale quanto complesso: mappare il mondo. Cosa significa mappare il mondo oggi? E soprattutto che valore e che senso può avere tale riflessione? Proprio da queste domande sembra essere partito il progetto di respiro internazionale promosso da Fondazione Benetton Studi Ricerche e Fondazione Imago Mundi.
Le due Istituzioni, attraverso il magistrale gesto curatoriale dei tre curatori Massimo Rossi, D Harding e Alfredo Cramerotti, guidano il visitatore in un’indagine necessaria e stimolante che mira a comprendere il presente e a sollecitare domande riguardo il futuro. Tre mostre diverse, allestite in tre location diverse, che spaziano da una rilettura cartografica del mondo ad un’interpretazione più libera e personale del concetto di mappare il sé, passando per il lavoro di artisti aborigeni australiani – di cui Luciano Benetton nel tempo ha collezionato diverse opere – che attraverso la propria presenza intende sottolineare in qualche modo l’esistenza di ulteriori forme d’arte e di vita a noi sconosciute o poco familiari, smantellando così il rigido e consolidato primato del punto di vista Occidentale.
Il tentativo comune delle mostre di ribaltare e scuotere i nostri sicuri e incontestabili preconcetti in merito alla configurazione della realtà e a come noi ci relazioniamo spesso erroneamente con essa, è il vero punto di forza del progetto. L’idea stessa che una mappa ci mostri in maniera esatta e fedele la riproduzione del reale è di per sé un’illusione. Dobbiamo sempre considerare che le mappe e le varie cartografie non sono solo il frutto innocente nato dalla necessità di orientarsi per mare e via terra, ma sono anche espressioni determinanti nella percezione che abbiamo dell’altro, del diverso. Le mappe sono strumenti potentissimi in grado di imporre confini e domini, siccome ogni cartografo adotta il proprio punta di vista per realizzarle.
La mostra Mind the Map! Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo curata da Massimo Rossi pone l’osservatore nella posizione di rivalutare e rielaborare la propria conoscenza del mondo, o meglio, della sua rappresentazione. La mostra offre un excursus cronologico sulla storia della cartografia, ospitando mappe di ogni provenienza, rivelando la presenza di un mondo molto più complesso e affascinante di quanto siamo abituati a pensare.
Sulla medesima complessità semantica va a delinearsi la mostra Atlante Contemporaneo. Cartografie del sé nell’arte di oggi a cura di Alfredo Cramerotti nella quale la pratica artistica è vista come una ricerca individuale atta a scavare negli interstizi del subconscio, dei pensieri, delle esperienze e delle sensazioni che fanno parte di ogni essere umano. Una volontà dunque, quella dei 14 artisti internazionali presenti in mostra – Oliver Laric, Jeremy Deller, Paul Maheke, Matt Mullican, James Lewis, Kiki Smith, Walid Raad, Ibrahim Mahama, Otobong Nkanga, Rochelle Goldberg, Seymour Chwast, Enam Gbewonyo, Sanford Biggers e Sarah Entwistle – che cerca di rintracciare nella grande mappa non letterale e alternativa dell’umanità le diverse interazioni, talvolta persino inspiegabili, che si innescano tra individuo, collettività, esperienza e rappresentazione. Le opere si divincolano tra le varie celle delle Gallerie delle Prigioni – recentemente ristrutturate – che grazie alla conformazione architettonica labirintica enfatizzano il ritmo del percorso espositivo, mantenendo alta la tensione visivo-percettiva. Ogni opera costituisce un nuovo punto di vista, una storia unica che obbliga l’osservatore ad un confronto intellettuale, oggi quanto mai necessario.
Altrettanto necessaria risulta essere la salvaguardia di quei popoli e di quelle comunità sempre più a rischio d’estinzione a causa dell’incessante e violento processo di globalizzazione cui siamo impotentemente tutti sottoposti, arte compresa. Identità e culture spesso ignorate, volutamente non rispettate, non mappate, ingiustamente sottovalutate come, ad esempio, la comunità aborigena australiana di cui invece possiamo godere, grazie alla mostra Terra Incognita: l’inclusività è la strada giusta, di una serie di opere che testimoniano tutto il fervore e la vitalità, nonché la bellezza di questa comunità. All’interno della splendida chiesa sconsacrata di San Teonisto si dispiegano per orizzontale le opere di alcuni artisti della comunità, dando vita ad una grande installazione curata da D Haring. Oltre duecento tele dipinte con colori accesi e vivaci che instaurano una curiosa relazione con gli affreschi della chiesa. Un paesaggio ricco e misterioso che va assaporato da una certa distanza: una superficie piana orizzontale che simula una terra nella quale non vi siano gerarchie ma una convivenza regolata da comprensione, confronto e accettazione.