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Ritorno a Trieste. Lucio Saffaro tra arte e scienza

San Giorgio, il Drago e la Principessa (opus VIII), 1955, olio su tela, 80 x120 cm., Fondazione Saffaro, Bologna San Giorgio, il Drago e la Principessa (opus VIII), 1955, olio su tela, 80 x120 cm., Fondazione Saffaro, Bologna
San Giorgio, il Drago e la Principessa (opus VIII), 1955, olio su tela, 80 x120 cm., Fondazione Saffaro, Bologna
San Giorgio, il Drago e la Principessa (opus VIII), 1955, olio su tela, 80 x120 cm. Fondazione Saffaro, Bologna
Trieste dedica una grande mostra a Lucio Saffaro (Trieste 1929-Bologna 1998), singolare figura di intellettuale del secondo Novecento: pittore, scrittore, poeta e scienziato. Nel rinnovato Magazzino 26, nel Porto Vecchio della città, dal 6 marzo al 26 giugno 2022.

Poliedri, dodecaedri, tetraedri, strane figure spaziali, perfette e compatte, sembrano vagare nell’infinito. Misteriose, enigmatiche. Eppure belle, armoniose. A prima vista fanno pensare a Piero della Francesca, alle sue cupole dipinte, alle sue uova, ai volti tondi delle sue Madonne. Ma ci sono anche strani esseri, che non hanno niente a che fare col pittore di Sansepolcro e ricordano invece immaginari abitanti di altri pianeti come quel suonatore de Il Concerto (opus V), un olio su tela del 1954. Sono dipinti di Lucio Saffaro, un artista e insieme scienziato alla continua ricerca dell’infinito e della perfezione. Raccolti nel Magazzino 26 di Porto Vecchio a Trieste, non lontano da quel mare freddo e ventoso, ma suggestivo e amato dall’artista, con la loro apparente immobilità, in realtà ricchi di un potenziale dinamismo, sembrano interrogare il visitatore, che a sua volta si interroga sugli enigmi che racchiudono.

Testimoniano le domande che Saffaro si faceva sullo spazio, sul tempo, sull’esistenza, unendo l’animo dello scienziato a una forte vena poetica. Un percorso complesso e originale, svolto in autonomia rispetto ai movimenti artistici contemporanei. Lasciata presto Trieste, Saffaro studia Fisica pura a Bologna, sua seconda patria, dove intreccia la sua cultura scientifica ad una costante ricerca pittorica, per “materializzare” le forme simboliche legate allo spazio e al tempo, che nascevano nella sua mente. Consapevole, come scrive, «dell’immensità di ciò che non conosciamo» e dei «limiti del nostro sapere» è teso alla comprensione dell’ignoto e di altre dimensioni.

 Il magnifico signore (opus I), 1954, olio su tela, 50 x 60 cm. Fondazione Saffaro, Bologna

Il magnifico signore (opus I), 1954, olio su tela, 50 x 60 cm. Fondazione Saffaro, Bologna

Le sue ricerche matematiche sulla determinazione di nuovi poliedri, spiegate in saggi e conferenze internazionali, si evolvono in contemporanea alle sue figure geometriche dipinte, eleganti e solitarie, e fanno parte di un medesimo mondo, espresso in molti scritti, editi ed inediti. La mostra, promossa dalla Fondazione Lucio Saffaro con il Comune di Trieste e il patrocinio della Regione Friuli-Venezia Giulia, organizzata da Villaggio Globale International, curata da Claudio Cerritelli con la collaborazione di Gisella Vismara, presenta una selezione di opere pittoriche e grafiche di proprietà della Fondazione stessa (36 oli, 35 litografie e 16 disegni), che ripercorrono l’iter dell’artista dagli esordi nel 1954 al 1997.

All’inizio, ci imbattiamo nelle figure misteriose degli anni Cinquanta: strani omini colorati, geometrici, che popolano l’universo dell’inconscio e del surreale: Il magnifico signore (Opus I), 1954; Il concerto (opus V), 1954; L‘Inquietudine (opus XIX), 1956; San Giorgio, il Drago e la Principessa (opus VIII), 1955, e tanti altri esseri che nascono dalla fantasia del pittore-, ma che attingono anche alla sua cultura letteraria. Cavalieri erranti che, dal mito e dalla storia, arrivano a popolare nuovi pianeti che noi, umani, non conosciamo ancora e ci lasciano straniti e perplessi.

La seconda tappa, negli anni Sessanta, riguarda il tema dello specchio, del labirinto e dell’infinito, che Saffaro affronta e risolve configurando punti e rette in reciproca mutazione, processi speculari e sdoppiamenti, forme aperte e chiuse (Il Modulo, opus LXXV, 1961; La camera ottica di Galileo, opus LXXXII, 1963). Proprio in quegli anni l’artista indaga il rapporto tra arte e scienza, esplora la coerenza dei principi matematici con le rappresentazioni spaziali, che non sempre vanno d’accordo o rispondono agli stessi criteri logici. Donde il senso dell’ambiguità, concetto che appartiene alla pittura e alla matematica.

 Il limitato ritorno (opus LI), 1959, olio su tela, 90 x 75 cm., Fondazione Saffaro, Bologna

Il limitato ritorno (opus LI), 1959, olio su tela, 90 x 75 cm. Fondazione Saffaro, Bologna

Ed eccoci al terzo round negli anni Settanta, in cui a giocare tra loro sono la geometria e la prospettiva. La tensione prospettica accompagna i flussi avvolgenti del sogno, le forme simmetriche devono fare i conti con le ondulazioni del desiderio, i procedimenti razionali affrontano la dimensione del dubbio. Opposti e apparenti contraddizioni affascinano il pittore, che crea opere intriganti come Meditazioni sul Golfo di Trieste (opus CLXXV), del 1972.

Gli anni Ottanta segnano il trionfo dei “poliedri”, strutture matematiche che contengono diverse componenti: la metafisica dello spazio, il rigore matematico dei piani, il valore dei simboli e degli archetipi, la malinconia di inquietudini interiori, diventando motivo di riflessione esistenziale. La piramide e il tempio (opus CCLXII), 1984, Il poliedro M2 (opus CCLXIII), 1985, Lo specchio di Vermeer (opus CCLXXIII), 1987, e tanti altri solidi, cilindri, sfere, coni, rappresentano la natura dinamica del pensiero, la disponibilità a verificare di volta in volta la complessità delle invenzioni spaziali. Sono le architetture mentali dell’artista, che interroga, attraverso le loro proporzioni mutevoli, la forma del pensiero. Non è certo facile entrare nel mondo di Saffaro, che pur esiste ed è interessante.

Come interessante è la sua “città dei cieli azzurri”, un chiaro riferimento a Trieste, la città natale che emerge nelle astratte vedute marine, individuabili nel colore azzurro dominante in molti dipinti, spazi silenziosi, di meditazione. Saffaro, così originale, non è sempre stato capito, anche se apprezzato da grandi storici dell’arte e presente in importanti esposizioni nazionali e internazionali. Oggi lo possiamo riscoprire, è un grande artista che sfida l’eterno contrasto arte e scienza e lo concilia. Ma mai chiamarlo “artista-matematico”, si arrabbiava!

La stella di Micene, 1991, litografia, 70x50 cm., Fondazione Saffaro, Bologna
La stella di Micene, 1991, litografia, 70×50 cm. Fondazione Saffaro, Bologna

Informazioni

Ritorno a Trieste Lucio Saffaro tra arte e scienza

A cura di Claudio Cerritelli con la collaborazione di Gisella Vismara

Catalogo Fondazione Bologna University Press

Trieste, Magazzino 26, Porto Vecchio

6 marzo-26 giugno 2022

Orari: mercoledì-domenica, 10-14; 16-20. Lunedi e martedì chiuso.

Sito web www.mostrasaffarotrieste.com

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