Il Duomo di Monreale (PA) e il Museo Civico nel complesso del Palazzo di Guglielmo II ospitano la personale di Giuseppe Patanè dal titolo Magma. 30 opere tra dipinti, sculture e ready made ragionano sul controverso rapporto tra uomo e natura. Dal 26 marzo al 24 aprile 2022.
C’è un’aura ancestrale nelle sale che ospitano la personale di Giuseppe Patanè. La si percepisce nei colori terrosi delle opere, nel loro aspetto grezzo, ruvido; la si distingue nel sottofondo musicale che oscilla tra i lavori, nel profumo di Sicilia che penetra dalle finestre; la si avverte nel carico di storia che le pareti del Palazzo di Guglielmo II portano con loro.
Magma, questo il titolo dell’esposizione, sembra raccogliere in sé suggestioni eterogenee – tratte dal mito e dalla contemporaneità, dal contesto territoriale a quello intimo – e legarle insieme in una forma organica – come appunto il magma – ma in ogni caso distinguibile nelle sue parti. A legare Polifemo e la guerra ucraina, la pandemia da Covid-19 e i minerali, la corrida e l’Etna è il linguaggio dell’artista. Una costante estetica ma anche etica, indirizzata verso tematiche sociali e ambientali. Declinata in senso pittorico, scultoreo e installativo. Ma più di tutto legata alle mani. Che utilizza sulla tela senza ricorrere al pennello, o sulla materia privo di ausili strumentali. Quindi, inevitabilmente, il tratto non ricerca l’iperrealismo, ma piuttosto una visceralità del segno che tiene traccia del contatto con la natura. Lei, che in fondo è la vera protagonista della mostra.
Lo notiamo fin dal principio del percorso, dove dal soffitto pendono tre tappeti, che un lungo e paziente processo ha trasformato in opere d’arte. Sepolti sotto la terra sicula per oltre sette anni, gli oggetti d’uso quotidiano si sono consumati, trasformati, arricchiti della materia che la terra ha loro aggiunto e privati di ciò che invece ha preferito togliere. Ne risultano superfici scrostate, danneggiate, solcate da agenti che in modo autonomo sono intervenuti sulla loro superficie.
Patanè è solo l’ultimo degli artisti che hanno partecipato a lavori quali Supremo. In questo caso l’artista pone un occhio al centro della composizione. Esso lancia uno sguardo divino – deduciamo dal titolo – severo e comprensivo al tempo stesso. Procedimento analogo in Sospeso. Qui Patanè intravede nelle macchie che la terra ha lasciato una traccia di fumo; così vi costruisce all’interno un volto umano, dalle cui labbra pende una sigaretta. É lei, e il suo fumo, a connettere uomo (il volto rappresentato, ma anche l’azione di Patanè) e la natura (le porzioni di opera “realizzate” dalla terra).
Tale propensione alla discesa, al contatto con la terra, viene confermata dalle due serie di opere che, dandosi le spalle su una linea retta, costituiscono la spina dorsale dell’esposizione. Si tratta dei Miti e dei Minerali. In entrambi i casi Patanè fa fede a quella linea di pensiero per la quale per conoscere il mondo bisogna muoversi in profondità. Nella terra: alla ricerca dei suoi materiali originali, gli elementi che ne costituiscono l’essenza. Nella storia: a ritroso alla ricerca dei miti, che in terra sicula equivalgono quasi a realtà, indagandone il valore narrativo ma anche conoscitivo. Un tempo i miti erano infatti una vera e propria forma di conoscenza, uno strumento per comprendere il mondo. Patanè racchiude entrambi i cicli in un ambiente cromatico di volta in volta affine, una cornice materica che include i soggetti in una dimensione atemporale.
La contemporaneità emerge nelle opere dedicate alla guerra ucraina e la pandemia da Covid-19. Qui i riferimenti si perdono in un’astrazione che conserva violenza e atrocità ma rifugge la retorica. Così fondali ruvidi, grigi, solo parzialmente illuminati dal colore, vengono sorpresi da installazioni che assomigliano a lance, saette, conformazioni violente che alterano l’esistenza fino a frantumarne le fondamenta. É quel che è accaduto a tutti noi negli ultimi due anni di pandemia, è quel che drammaticamente sta succedendo ora tra Russia e Ucraina. Una tragedia collettiva che l’artista introietta, e poi restituisce, con la sua sensibilità visiva.
Tali dolori paino il ridondare della violenza originaria di cui l’uomo di fa autore nei confronti della natura. Natura uccisa è un insieme di opere che denunciano lo scempio compiuto dall’uomo nei confronti degli animali e della natura, tanto da fare apparire obsoleta la dizione “natura morta”. Non vi è nulla di accidentale in queste morti, il colpevole è ben noto. Corrida declina tale istanze in maniera più diretta, evocando la crudeltà insita nella controversa tradizione spagnola. Tanto che l’artista elide la C, lasciando l’eloquente nome Orrida a introdurre dipinti dove il toro, magnifico e fiero, è destinato a soccombere nell’impari sfida che l’uomo gli pone davanti.
Di fronte a tale squilibrio tra uomo e natura, la sintesi proposta dall’artista pare risiedere nel ciclo forse più criptico dell’esposizione. LATERIZIO PRIMO MODULO raccoglie una serie di opere la cui realizzazione è nuovamente affidata alla natura e al suo procedere (ai nostri occhi) casuale. L’unione di mattoni, tegole e pietre laviche viene sottoposta ad alte temperature, fino a provocarne la perfetta mescolanza. Il risultato è una scultura che ricorda una pietra lavica, un’espressione del tutto naturale. Al contrario essa presenta chiara l’impronta umana (mattoni, tegole e il processo che li ha fusi insieme) e al tempo stesso il fattore naturale. I due passaggi paiono però uniti fino a confondersi. Una rinnovata sintesi fra due dimensioni chiamate a convivere per la sopravvivenza di entrambe.
Poco distante, nel Duomo di Monreale, la mostra si chiude con una piccola (ma significativa) deviazione. Nella Cappella di San Benedetto si innalza infatti Athanor, il monumentale dipinto di sei metri che Patanè ha realizzato ispirandosi alla Commedia dantesca. Un’opera contemporanea, la prima a prendere posto nella cattedrale cittadina, che si inserisce in modo sorprendente negli spazi romanico-bizantini del Duomo. Divisa in tre pannelli, l’opera condensa il viaggio dantesco in un’unica realtà immaginifica capace di condurre lo sguardo dalle viscere dell’inferno alla lucentezza del paradiso. Athanor, il cui nome evoca il forno alchemico dove si alimenta un fuoco, elemento vivificatore e purificatore, è un messaggio di redenzione e rinascita, non solo artistica e culturale, quanto morale ed etica.