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I padiglioni da non perdere alla Biennale di Venezia 2022

Padiglione Svizzera. Foto ArtsLife Padiglione Svizzera. Foto ArtsLife
L’esterno del Padiglione Stati Uniti con la scultura di Simone Leigh. Courtesy Simone Leigh and Matthew Marks Gallery/Timothy Schenck)
La Biennale è un incredibile luna park artistico che pare non esaurirsi mai. L’Arsenale, i Giardini e la città tutta. Venezia in questi giorni d’inaugurazione respira dopo tre anni l’emozione di ospitare nuovamente l’esposizione più importante d’Italia. Un sentimento che la pervade totalmente e coinvolge ogni visitatore. La tentazione è di vedere tutto quel che c’è da vedere, ma francamente pare un’impresa quasi impossibile. Soprattutto quando si tratta di spuntare i padiglioni nazionali. Per questo noi abbiamo selezionato quelli che ci hanno convinto di più, e ve li proponiamo.

Francia

Padiglione Francia. Foto ArtsLife
Padiglione Francia. Foto ArtsLife

Inutile girarci intorno: è il padiglione più chiacchierato, più visitato e con la coda più lunga alle sue porte. Ma cosa c’è dentro? Un set cinematografico uscito dagli anni sessanta. Un tempo in cui Francia, Italia e Algeria erano soliti produrre pellicole insieme. Proprio sulla vicenda post coloniale di quest’ultima si concentra l’esposizione, che vede Zineb Sedira (Parigi, 1963) allestire un ambiente immersivo, dove il visitatore può interagire con gli oggetti di scena e osservare due ballerini eseguire un tango d’altri tempi. Il cinema, presente nei riferimenti a Visconti, Scola e Welles, si ripresenta sotto forma di racconto video del passato coloniale della Francia, della storia dell’Algeria e della storia personale dell’artista. Lei, che ha chiamato il suo progetto “I sogni non hanno titoli”, è però riuscita a restituire visivamente l’intensità del suo vissuto. Tanto personale, eppure incredibilmente universale.

Stati Uniti

Padiglione Stati Uniti. Foto ArtsLife
Padiglione Stati Uniti. Foto ArtsLife

Forse uno dei padiglioni più attesi della Biennale. Il primo che gli Stati Uniti hanno affidato a una donna nera. Simone Leigh, per la precisione. Che dire? Attese rispettate. Essenziale ma eloquente, semplice ma potente. Poche opere per sala, perlopiù sculture di grandi dimensioni, dominano con eleganza un padiglione che all’esterno si presenta stravolto. La paglia, spesso usata da Leight nelle sue opere, ricopre l’architettura neopalladiana dell’edificio e introduce a quel che custodisce all’interno. Ovvero esattamente ciò che ti aspetti dall’artista, ma sublimato. Le sculture, raffiguranti grandi corpi femminili, dalle forme ampie e stravolte, raccontano in modo silenzioso il dramma del razzismo e della misoginia. Il tutto in uno stile che unisce richiami classici e istinti contemporanei che donano un fascino senza tempo alle opere.

Lettonia

Padiglione Lettonia. Foto ArtsLife
Padiglione Lettonia. Foto ArtsLife

Tra le sorprese della Biennale c’è il Padiglione Lettone. Un clamoroso assortimento di ceramiche stravaganti che ben si allineano al tono surrealista dell’Esposizione. Non c’è il gigantismo con cui solitamente l’evento flirta, ma un campionario di deliranti stranezze. Piatti, vasi, fontane, pesci, lumache, serpenti, dalmati, donne, Buddha. C’è veramente di tutto, e poteva andare male. Ma non è stato così, anzi.

Italia

Padiglione Italia. Foto ArtsLife
Padiglione Italia. Foto ArtsLife

L’Italia punta tutto su un unico artista, Gian Maria Tosatti, e non sbaglia. Un allestimento curatissimo, che stravolge totalmente l’ambiente del padiglione e restituisce un racconto intenso che attraversa il mondo industriale, con la sua estrema alienazione, e conduce a un esito finalmente speranzoso. Macchinari pachidermici si alternano ad ambienti domestici che in poche stanze rievocano un periodo storico che se al tempo era percepito come carico di aspettative, ora è totalmente ammantato di decadenza e abbandono. Tutto è perfettamente esemplificato dalla citazione del famoso articolo di Pier Paolo Pasolini – darei tutta la Montedison per una sola lucciola – che offre un ribaltamento dei dettami capitalistici e intravede una speranza, la luce delle lucciole, sul fondo di un incredibile stanza finale: una passerella che nel buio si spinge nel mezzo di un mare scuro e conduce laddove da soli non potremmo arrivare.

Australia  

Un padiglione che unisce video e musica in modo abbacinante. Un gigantesco schermo a LED e la musica noise che viene dalla chitarra di Marco Fusinato. Una performance musicale lunga 200 giorni portata avanti con lo strumento che, connessa a un circuito di amplificazione, innesca un diluvio di immagini. DESASTRES si nutre dunque di un aspetto performativo non indifferente,  che riconduce alla fatica della vita operaia che i genitori dell’artista hanno condotto una volta arrivati in Australia (dal Veneto).

Gran Bretagna

Padiglione Gran Bretagna. Foto ArtsLife
Padiglione Gran Bretagna. Foto ArtsLife

Sonia Boyce si avvale di una vasta gamma di fotografie, suoni e video per esaltare i contributi – finora poco riconosciuti – dei musicisti britannici neri alla cultura del loro paese. Nell’opera centrale di questo padiglione, un’installazione video intitolata Feeling Her Way (2022), cinque cantanti – Errollyn Wallen, Jacqui Dankworth, Poppy Ajudha, Sofia Jernberg e Tanita Tikaram – si incontrano per la prima volta nei famosi Abbey Road Studios per registrare insieme. Alle pareti visioni geometriche riflettono un ritmo trascinante. Ne risulta un’armonica contaminazione di generazioni e generi musicali. Boyce, la prima donna nera a rappresentare la Gran Bretagna, riesce a raccontare in maniera precisa l’importanza di una comunità incredibilmente unita e altrettanto trascurata.

Svizzera

Padiglione Svizzera. Foto ArtsLife
Padiglione Svizzera. Foto ArtsLife

Padiglione in tre atti per la Svizzera, che sorprende con un ambiente atmosferico e molto suggestivo. Uno spazio esterno, un interno immerso in una luce rossa e un ultimo avvolto dall’oscurità. In un ognuno di essi trovano spazio una serie di grandi sculture realizzate con il materiale di recupero delle Biennali precedenti. Teste e mani monumentali, senza volto ne caratteristiche, solo un’uniformità estetica misteriosa e agghiacciante. Si chiama The Concert ma tutto riposa assorto in un silenzio sospeso, all’interno del quale il visitatore gallegia tra le macerie che il fuoco, presente con le bruciature che sfregiano le opere, ha contribuito a realizzare. Le fiamme, elemento di distruzione e rinascita per eccellenza.

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