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Niente di (più) vero. Recensione del nuovo libro di Veronica Raimo

Veronica Raimo, scrittrice e traduttrice, è candidata al premio Strega con il suo romanzo Niente di vero, edito da Einaudi.

Che succede quando in una famiglia nasce uno scrittore, anzi due? Secondo il poeta polacco Czeslaw Milosz quella famiglia è finita.

Sicuramente scrivere qualcosa a proposito della propria infanzia, che è già complicato e doloroso così, è più difficile, perché prima o poi i lettori sentiranno un’altra campana. Si scrive, dunque, con la consapevolezza di poter essere smentiti e, nella migliore delle ipotesi, con la certezza di creare monologhi che possono essere l’uno la controparte dell’altro.

Veronica Raimo, scrittrice e traduttrice, nel romanzo candidato allo Strega Niente di vero (Einaudi) – probabilmente senza queste paranoie – fa suonare la sua campana. Attraverso il flusso di coscienza ricostruisce le sue vicende, toccando vari temi: l’infanzia, la famiglia, il rapporto speciale con il fratello Christian, la precarietà amorosa, la fine dell’amicizia.

Se dovessi scegliere solo un aggettivo per descrivere questo romanzo opterei per “schietto”. Quella schiettezza che riserva alle altre persone (e ai personaggi) e anche a se stessa è infatti il cardine di tutta la narrazione.

Lo fa nel raccontare le fisime di un padre (un irrefrenabile igienista con la mania delle costruzioni) e di una madre piuttosto ansiosa, finendo anche per dubitare della loro felicità coniugale. Non prova a smussare con il favore della finzione letteraria nemmeno le sue spigolosità, le sue incertezze e le sue mancanze, né tanto meno ad ampliare le sue capacità.

Non si risparmia mai e scrive facendo autoanalisi:

Non c’è alcun motivo reale perché non mi trasferisca a Berlino, ma se mi trasferissi smetterei di avere un solido rimpianto che mi tiene in vita tutti i giorni.

Se dovessi avere a disposizione anche un secondo aggettivo sceglierei senz’altro “divertente”, perché è il piglio ironico il vero taglio della narrazione.

Non mancano però le questioni serie e urgenti, come quando racconta dell’aborto e del cimitero dei feti:

Ho finito l’articolo, ho fatto le mie ricerche su internet e ho chiamato A. Gli ho raccontato la mia scoperta. – Sembra un film dell’orrore, – mi ha detto. Invece era solo la destra italiana unita al cattolicesimo antiabortista. In effetti, due ingredienti perfetti per un film dell’orrore. – Dici che dobbiamo andare a vedere anche noi? – gli ho chiesto. – Tu che vuoi fare?

Un aborto avvenuto il giorno prima di una rimpatriata con vecchi amici con bimbi al seguito e che la porta a rinunciare a riabbracciare l’amica delle scorribande giovanili.

Annulla con un sms in cui promette di richiamarla, lei non risponderà al messaggio e Veronica non richiamerà. In fondo è così, i rapporti si estinguono nelle mancanze, un gesto in meno e tutto il bene si dissolve o forse semplicemente si trasforma e finisce altrove.

A proposito dei rapporti scrive “sono sempre stata aliena al concetto di lasciarsi andare per un motivo molto banale: non so dov’è che dovrei andare”, questo sicuramente non riguarda la scrittura perché Niente di vero è un continuo lasciarsi e lasciare andare.

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