Con orrore assistiamo alla tragedia bellica orchestrata da Putin a scapito non solo dell’Ucraina ma anche dei suoi stessi giovani e inconsapevoli militari in prima linea. Ma c’è una nota positiva malgrado tutto: è tornata ad affacciarsi sulla carta stampata e su Internet la Caricatura Politica. I caricaturisti contemporanei sono autori per ora senza fama che si esprimono in un linguaggio involontariamente Dada.
Nulla hanno a che fare con la militanza nichilista del Dada tedesco dove, negli anni Venti del Novecento George Grosz e Otto Dix agivano in una chiave espressiva anti borghese. E nulla hanno da spartire con le riviste satiriche europee del primo ventennio del secolo scorso. Erano fogli dove era preso di mira il Potere Politico. In Germania contro il Kaiser, c’era Simplicissimus; in Italia, contro Giolitti, c’era L’Asino; di in Francia, contro la Chiesa, c’era Le Canard Enchainé.
Oggi la caricatura politica si affida all’improvvisazione e alla provvisorietà del digitale, sull’onda della notizia del giorno. Si scrive su Twitter, si disegna su Facebook. Ieri, negli USA il bersaglio era Trump; oggi spetta a Putin in Russia. Non necessari articoli d’appoggio; il che sta a significare “chi vuole capire capisca”.
Fra di loro ce n’è uno, Israel Horta, che fa eccezione, rivelando una professionalità di tradizione classica. Si tratta di un talentuoso disegnatore e di un paziente pittore del quale, per altro, circolano su internet pochissime notizie personali. L’immagine che ci trasmette di Putin è quella psicologica del mattacchione. Un Presidente burlesco, che si rimira allo specchio – che è poi quello deformante dei luna park – con evidente compiacimento, pronto forse per un bagno di folla. Composizione giustamente offensiva, di un artista da galera se fosse un cittadino russo. In questo caso, vedo in Horta un degno erede dei Maestri tedeschi del Dada.
Questa anonima caricatura è invece tutt’altro che buffonesca, se è letta con il senno di poi, dove Hitler dà un buffetto sulla guancia a un Putin rimpicciolito, un nanetto non certo alla sua altezza.
Hitler e Putin dunque. Corsi e ricorsi della Storia. Ed è qui interessante tornare a Georges Grosz, la cui opera fu bollata dal Nazismo come Arte degenerata. Emigrato negli Stati Uniti, continuò a dipingere in chiave politica, abbandonando il linguaggio Dada, ormai di poca presa. Il suo linguaggio divenne onirico, accostandosi al Surrealismo di André Breton.
Il nazismo era ancora una sua costante ossessione, ed è stupefacente la sua composizione intitolata Hitler all’inferno, eseguita nel 1944, poco prima del suicidio collettivo nel bunker di Berlino. Viene qui mostrato un Hitler piagnucoloso, impaurito, il ritratto di un perdente eseguito dall’autore sull’onda dell’odio e del disprezzo. Sullo sfondo i segni e gli emblemi delle tragedie di cui è responsabile. Immediato il rimando al Giudizio Universale di Michelangelo. E immediato il rimando al Grande Assassino di questi giorni, in attesa del giudizio della Storia.