La lama nel corpo, immagini femminili nell’horror italiano. Vittime sacrificali, eroine, streghe e vampire, le donne nell’horror hanno prestato il loro corpo a numerose incarnazioni. Quale funzione e quale ruolo sociale ricopre il corpo femminile nel cinema horror? In libreria
Quale funzione e quale ruolo sociale ricopre il corpo femminile nel cinema horror? Questa la domanda da cui parte La lama nel corpo, immagini femminili nell’horror italiano, libro di Guido Colletti (Mimesis) che cerca di fare luce sulle implicazioni di un genere e un panorama (quello nazionale) ancora non affrontati a fondo a livello teorico (al contrario di quanto già successo all’estero).
Qual è la natura delle emozioni che suscita la donna (con il suo corpo, con la sua presenza) nello spettatore? C’è una relazione, una dipendenza, tra horror e donna, un rapporto complesso analizzato già dai gender studies americani degli anni Ottanta e Novanta – siamo negli anni della terza ondata del femminismo, con studiose come Linda Williams, Barbara Creed e Judith Halbestam, che hanno cercato di mettere a fuoco il ruolo della donna, sia come attrice (e personaggio) che come spettatrice del genere horror (è questo il campo teorico propedeutico da cui si parte).
È un rapporto complesso, come è complesso il ruolo e il significato stesso dell’horror come genere: da una parte è un genere che destabilizza, di rottura, di critica sociale (una rivolta contro la morale borghese), dall’altra si muova all’interno di codici prestabiliti e linguaggi di intrattenimento mainstream ed escapismo. È un genere che ha ridefinito i gusti degli spettatori, che ha intercettato le istanze socio culturali di decenni ricchi di cambiamenti e contraddizioni (sia in Europa che oltreoceano), inserendosi a pieno titolo nella postmodernità filmica, è immersivo e plurisensoriale, coinvolge lo spettatore con un sovraccarico di sensazioni percettive, alla ricerca di uno choc (letteralmente) di stimoli sensoriali.
In questo scenario la donna come rappresentazione non si configura solo come mera immagine grafica, ma accoglie in sé una molteplicità di significati, con peso e natura diversa a seconda delle epoche, il corpo della donna diventa protagonista di un sistema complesso, è vittima e eroina, diventa un richiamo, configurando l’horror stesso come una vera e propria trappola (non solo per lei in quanto personaggio, ma più in genere anche per il pubblico stesso).
Ma è l’horror un genere misogino? La vendetta sadica e violenta del male gaze verso la personificazione freudiana di un fenomeno castrante, pericoloso e da sopprimere (come nei capisaldi del genere, Psycho di Hitchcock e L’occhio che uccide di Michael Powell)? O è il campo in cui l’erotismo femminile si manifesta nella sua forza di rivalsa? In La lama nel corpo Colletti si spinge in questa complessità di istanze e considerazioni per raccontare l’evoluzione storica del cinema horror e del thriller italiano (il famoso giallo all’italiana; Dario Argento, Mario Bava, Lucio Fulci…) attraverso il filtro del corpo femminile: desiderato, violato, esposto.
Il libro prende in esame un nitrito campione di 326 film italiani usciti tra il 1957 e il 1989, anni cruciali per il postmoderno italiano, un imbuto entro cui cascano tutte le contraddizioni di una società divisa tra progresso e conservatorismo, tra liberazione sessuale e repressione religiosa, tra dinamismo e immobilismo. Il tema della corporeità ha nel cinema una sua centralità quale fonte di attrazione, ma non solo, propone anche temi legati ai rapporti tra i generi, sia nell’ottica dello spettatore (off screen – come e perché lo spettatore si identifica nei personaggi degli horror? Il pubblico è prettamente maschile? La donna spettatrice è esclusa da quest’audience?), sia all’interno della narrazione diegetica e nel sistema che regola le dinamiche tra i personaggi (vittime e aguzzini, donne mostruose – streghe, vampire – e eroi).
A chiudere il libro un capitolo dedicato ai corpi sulla carta stampata “Adult comics e cartellonistica”, strumenti di marketing su carta stampata in cui la donna diventa testimonial del film (oltre che protagonista, incarna l’anima del plot, diventando – nuovamente – un’esca). Emerge anche tramite l’analisi di questi medium una rappresentazione doppia, di sottomissione e di emancipazione (la donna, sempre sexy, può essere sia vittima che carnefice, punita per il suo essere desiderabile, proiezione del desiderio maschile, o predatrice malefica che attraverso la propria attrattiva annienta e schiaccia l’oppressore). Resta un punto fermo: il duetto macabro ma magnetico tra sesso e morte che percorre tutto questo filone.