Milton Avery si è posto in modo personale tra l’impressionismo americano e l’espressionismo astratto. Un’interpretazione unica della forma e del colore, che la Royal Academy di Londra celebra dal 15 luglio al 16 ottobre 2022.
Modesto, taciturno e con un eccezionale dono per il colore e la semplificazione della forma. Milton Avery (1885-1965) è un indiscusso maestro dell’arte americana, forse non ancora del tutto approfondito. Cresciuto nel Connecticut, ha lasciato la scuola a 16 anni e per 20 anni ha lavorato in fabbrica per sostenere le donne della sua famiglia dopo la morte improvvisa del padre. Solo la sera aveva tempo per frequentare un corso d’arte.
Così Avery ha dovuto aspettare i 40 anni prima di iniziare a dipingere a tempo pieno, i 60 per creare un’opera per lui fondamentale (Husband and Wife) e quasi i 70 prima di iniziare a realizzare i paesaggi su larga scala considerati oggi l’apice della sua carriera. Elegie in pittura del Connecticut in primavera e del Vermont in autunno, abeti e altre specie di alberi che si raggruppano generando architetture paesaggistiche mentre le mucche puntellano i morbidi campi verdi come stelle luminose e sparse.
Ma prima di questo, come detto, c’è stato altro. Per questo la Royal Academy di Londra raccoglie tutti i periodi di Avery, esponendoli nella mostra Milton Avery. American Colourist. La mostra, che conta circa 70 opere, è la più completa mai tenuta in Europa. L’obiettivo è, come spesso accade, promuovere la conoscenza dell’artista oltre i confini dove è già apprezzato. Un’operazione importante, soprattutto quando si parla di un artista controverso come Avery.
Prendiamo ad esempio una delle sue opere più celebri, Husband and Wife. La tavolozza è scura, dominata dal marrone-grigio e apparentemente intrisa di un’atmosfera pesante, di tensione. Eppure, anche in questo territorio estremo, Avery riesce a incastrare le forme in un dolce schema di rime, di rimandi e giustapposizioni. Così facendo la composizione riesce comunque a risultare gradevole, a trasmettere serenità e calma in chi la osserva.
“Ci si sente sempre meglio dopo aver guardato un dipinto di Milton Avery“, afferma Edith Devaney, curatrice della mostra. “È uno di quegli artisti – e non ce ne sono molti – per i quali c’è un elemento di gioia in ogni opera. In esse c’è qualcosa che afferma la vita e spero che le persone reagiscano a questo sentimento“.
Dal punto di vista tecnico, Avery ha colmato il divario tra l’impressionismo americano e l’espressionismo astratto. Non a caso a lui hanno guardato artisti come Mark Rothko e Barnett Newman. Ha mantenuto il paesaggio, come anche la figura umana, ma ha reso le loro forme così essenziali da assorbirne i confini e lasciando spazio al coloro per prendersi la scena e dettare i contorni dell’opera. Alcune sue opere sono paesaggi moderni dove la luce svolge il suo ruolo impressionista di demiurgo dell’atmosfera, oltre che degli elementi compositivi. Un esempio è sicuramente Little Fox River, 1942. Sulla stessa linea anche l’Autoritratto del 1941.
Ma allo stesso tempo Avery non ha temuto l’estrema semplificazione, l’annullamento della prospettiva e delle proporzioni, in favore di campiture ampie. A volte contornate da rapidi estremi geometrici, utili a incorniciare forme spigolose e scevre di dettagli (Two Figures on Beach, 1950); in altre occasioni totalmente libere di aprirsi e muoversi fino a comporre paesaggi che dalla figurazione sprofondano fino all’astrattismo (Boathouse by the Sea, 1959).