La meraviglia del dettaglio. La capacità dell’opera d’arte di affrancarci, elevarci, dalla realtà del quotidiano attraverso (anche) un ricciolo infinito di limone, la grazia di una clavicola, la danza attesa sospesa delle dita tra le dita, la pelle di latte di perla di un seno, il riverbero liquido metallico di un piatto, una piega, una brocca, un cielo. L’epifania di uno zic colto in una posa, nel gesto, in un frame, nel frammento. Abbiamo raccolto una cinquantina di momenti ritagliati dai quadri della più bella fiera d’arte del mondo, il TEFAF di Maastricht -svoltasi eccezionalmente lo scorso giugno post Covid- per tracciare una narrazione di immagini rubate dall’epidermide delle tele in macro zoom. Microcosmi saturi di valenze estetiche e velleità simboliche. Voci di rimandi, ricordi, riconciliazioni, trasfigurati in punta d’olio o in intagli di tempera su tavola, tela, marmo, diaspro, agata, alabastro, ametista, ardesia, granito, onice, rame, lapislazzulo. Con le mille relative striature, sfumature, screziature, temperature di senso che la materia e la trama minerale dell’opera rivelano, riecheggiano, ricordano. Nella nostra testa, sopra le nostre teste.
Senza alcuna pretesa e meno che mai ambizione, proviamo così a leggere la fiera sotto una chiave differente, capovolgendone la natura di per sé commerciale -TEFAF è l’emblema e il trionfo della compravendita ai più alti livelli- attraverso un sentiero mediato dall’azione libera e fluida delle proprie affezioni, aderenze, esperienze, associazioni. Un modo per architettare i propri incastri concedendosi ai propri incanti. Combinando costellazioni e relazioni, tracciando possibili latenti interpretazioni. Partendo proprio da lì, in fondo, da un angolo, un incavo di bellezza, dal particolare, il dettaglio. Dove abita Dio, in qualsiasi accezione lo si pensi, consideri, ragioni. Dove questo, Dio, risiede, perenne, si accende, e respira rifulge una qualche forma di luce nelle sensibilità cangianti e polisemiche dell’osservatore. Guardandolo e rimirandolo. Quello zic nel quale si concilia il guizzo di genio, la mano intelligente, la foresta delle corrispondenze, il brano che accorda mondi simultaneamente. Quel quid che risolve il reale da una prospettiva altra, una percezione altra, che contempera la densa ambivalenza dell’allegoria e della metafora. L’intarsio estetico non fine a se stesso ma saturo di segni, simboli, simulacri e significati che vibrano nell’universo umano. Lembi di senso, amati nell’aria dell’aura di un quadro. Nei suoi brividi a pelle.
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