Palazzo Oldofredi Tadini Botti a Torre Pallavicina apre la nuova stagione espositiva con la mostra fotografica di Irene Pucci, Oppio, fino al 2 ottobre 2022. Scatti in bianco e nero ne raccontano l’immaginario quotidiano.
Gli occhi sgranati e imploranti di una giovanissima mendicante accolgono il visitatore nelle sale affrescate di Palazzo Oldofredi Tadini Botti. Da qui inizia il viaggio autobiografico di Irene Pucci. Poetici scatti in solitaria raccontano la quotidianità di una vita vissuta in famiglia, al mare, tra i caseggiati delle vie pugliesi. Taranto, Polignano a Mare, Bari appartengono ai luoghi d’elezione della fotografa. Come sfogliare le pagine di un diario, le fotografie in bianco e nero, rivelano un immaginario personalissimo, lontano da intenti documentaristici. Guidata dalla propria sensibilità, Irene Pucci rievoca insieme la leggerezza dell’esistenza, trascorsa tra i luoghi del cuore, e la difficoltà di accettarne gli imprevisti. Una rete da pesca sul molo si fa immagine di un ricordo familiare, di panorami mattutini solitari, eppure obbligati.
Vecchi, bambini, mendicanti, tradizioni folkloristiche, incontri casuali compongono il quotidiano repertorio della fotografa, il cui occhio è attratto dai dettagli, dalle contraddizioni, da tutto ciò che sta ai margini, siano esse persone o cose. E così ogni scatto si fa immagine di una storia, di aneddoti, di ricordi, di una vita trascorsa tra le vie agitate e trasudanti di fervore religioso della Puglia, come testimoniano le fotografie della processione dell’Addolorata. I panneggi dei fedeli, i volti coperti di chi deve espiare le proprie colpe, frammenti della statua della Madonna diventano il soggetto privilegiato, isolato in scatti dai forti contrasti, che nella memoria della fotografa rievocano ricordi d’infanzia, in cui respirava un’aria di pianto.
Il riguardo per ciò che, forse solo apparentemente, sta ai margini – non solo della società, ma della comune attenzione delle persone – ritorna in quasi tutti gli scatti della fotografa. Dalle gambe sofferenti di un anziano signore, al mendicante che con le braccia aperte sembra invocarci, a un intimo ritratto della suocera riflessa in uno specchio da tavolo, fino ai riflessi dei palazzi tarantini nelle vasche della Concattedrale di Gio’ Ponti. Senza inventare nulla, Irene Pucci si impegna in un personalissimo e intimo esercizio di lettura della realtà che la circonda quotidianamente, per costruire un racconto autobiografico in immagini, a dimostrazione del “legame profondissimo che si innesca tra l’uomo e la sua terra d’origine che, anche al momento dell’abbandono, si traduce in una dipendenza dai dettagli della vita quotidiana e dei luoghi in cui si è sempre stati” – riprendendo le parole della curatrice, Carmelania Bracco.