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Rimetto mano alla mia arte. Intervista a Lorenzo Quinn

Lorenzo Quinn, Baby 3.0 Lorenzo Quinn, Baby 3.0
Lorenzo Quinn, Baby 3.0
Lorenzo Quinn, Baby 3.0

Lo scultore, figlio del grandissimo attore Anthony Quinn, presenta a Venezia l’opera che segna una svolta nel suo percorso creativo

Ognuno di noi è stato bambino, e dentro ognuno di noi spero ci sia ancora un bambino”. Esibisce toni lirici, Lorenzo Quinn, nel contestualizzare Baby 3.0, la sua nuova monumentale esposta a Venezia fino al 31 ottobre. “Volevo stimolare quella sensazione di rinascita che ognuno di noi prima o poi prova. Magari associandola a un profumo, a un sapere, a una musica”. Chiunque passi per il Canal Grande, non può non vederla, torreggiante nel giardino di Palazzo Corner della Ca’ Granda. Proprio di fronte alla Guggenheim Collection.

Lui qui è un nome molto noto, e non solo perché figlio del grandissimo attore Anthony Quinn. Perché lui è mezzo veneziano, perché veneziana era sua madre, Jolanda Addolori. E perché a Venezia ha allestito alcune sue importanti opere, non sempre – anzi raramente – risparmiate da critiche anche forti. Nel 2017 Support, due mani giganti che emergevano dal canale “sorreggendo” Ca’ Sagredo. E nel 2019 Building Bridges, stavolta 12 enormi mani a formare una sorta di forche caudine all’Arsenale. Sempre la mano al centro delle sue attenzioni, come ci spiega qui sotto con convinzione.

Era dunque quasi inevitabile che lo scultore scegliesse Venezia per svelare al mondo la sua svolta. Basta indugiare in ogni aspetto delle mani: ora è l’essere umano nella sua completezza il protagonista. Ed il simbolo di rinascita non può che essere un bambino, per “ribadire il valore della vita, lavorare al cambiamento e alla creazione di una nuova Umanità”. Ecco dunque l’enorme bebè adagiato su un coccige, ad evocare il grembo materno. Una grande scultura in rete d’acciaio inossidabile e fusione di alluminio, alta 7 metri e larga quasi 9…

Le tue opere hanno sempre forti contenuti sociali, cosa muove questa scelta?
Nascono prima quelli, poi la mia opera. Di cosa voglio parlare, ora? Cosa voglio trasmettere? Ultimamente vedo attorno a me un mondo brutto. C’è una tremenda onda negativa, odio, guerre, la pandemia. Io voglio creare qualcosa che invece sparga un’onda positiva. Quindi nasce prima l’idea di cosa voglio comunicare, che poi ispira l’opera…

 

Lorenzo Quinn, Baby 3.0
Lorenzo Quinn, Baby 3.0

Questo torna dunque anche in Baby 3.0…
Certamente. Questa scultura in realtà ha avuto una gestazione particolare: l’avevo concepita una ventina di anni fa, per una fondazione africana che voleva raccogliere fondi a sostegno dell’emergenza alimentare. Il concept era molto vicino: c’era il coccige, solo il bebè era diverso, in quel caso sofferente… Ora ho pensato di rivisitarla, ma su scala monumentale. Dove l’osservatore può entrare, sentirsi parte dell’opera. Ed essere parte della rinascita. L’esecuzione è stata molto problematica nel periodo pandemico, con fabbriche chiuse e trasporti difficoltosi. I tempi si sono quindi allungati, anche perché parte dell’opera è stata realizzata a Shanghai…

Il mondo dell’arte critica il tuo lavoro ritenuto eccessivamente letterario. Qual è la tua risposta?
Io so bene quali sono le critiche alla mia opera. Io sono un artista, e potrei senza problemi creare opere sensazionali e controverse. E cito la banana attaccata alla parete da Cattelan. Ma questo non lo voglio fare. Io voglio che le mie opere rappresentino un dialogo, non un monologo. Ti faccio un esempio: se io ora ti parlassi in cinese, tu non mi capiresti, ma cercheresti di intuire quello che sto dicendo. Probabilmente mi fraintenderesti. Io questo lo trasporto anche nell’arte: tanti artisti giocano sull’equivoco, lasciando l’interpretazione all’osservatore, alla critica. Ma se si toglie l’interpretazione, l’opera rimane nuda, superficiale. O facile.

 

Biennale Arte. Biennale di Venezia
Lorenzo Quinn a Ca’ Sagredo

E qual è la tua alternativa a questa impostazione?
Io sono un artista figurativo, simbolico. Quindi voglio trasmettere dei messaggi, e questi evidentemente devono essere compresi dal pubblico, dalle masse. Io non voglio seguire le vie elitarie dell’arte: se poi i critici trovano la mia opera superficiale, io posso rispondere soltanto con la mia storia. Lavoro da 35 anni, mi mantengo con questo, le mie opere sono apprezzate in tutto il mondo.

La presentazione di Baby 3 parla di rinascita. Questa vale anche per te stesso, che qui abbandoni l’icona della mano…
Certamente, io sentivo il bisogno di un cambiamento nel mio percorso, per cui era necessario abbandonare i legami con le simbologie passate. Qui utilizzo materiali diversi, molto moderni. E per la prima volta una mia mostra è stata curata, è un mio progetto non commerciale. Forse per la prima volta non ho l’appoggio di una galleria. Io per venti anni ho lavorato molto bene con una galleria di Londra, che però trascurava del tutto gli sbocchi istituzionali del mio lavoro. Ora sentivo questa necessità, e per questo cambiamento non potevo riproporre opere ancora legate al mio passato…

 

Lorenzo Quinn sotto alla scultura Baby 3.0
Lorenzo Quinn sotto alla scultura Baby 3.0

Ma da dove nasceva questa attenzione quasi ossessiva per le mani?
Fin da quando ero bambino, ho sempre disegnato molto. Anche a scuola, anche durante le ore di matematica, che non amavo molto. I miei erano disegni figurativi, per cui il modello che avevo sempre a disposizione da copiare era la mia mano sinistra. Quando poi sono entrato nel mondo dell’arte, la mie prime opere erano surrealiste, allora amavo molto Dalì. E partivo sempre dalla forma della mano, che poi diventava una testa, e poi un albero… In seguito più che la mano ho iniziato a interessarmi al gesto della mano. E poi c’è una questione geo-sociale: io già allora esponevo in tutto il mondo. E ci sono molti paesi – paesi arabi, Giappone, Cina, India – dove è ancora difficile proporre una figurazione esplicita. Ma il linguaggio dei gesti è universale…

Concludiamo con una domanda inevitabile: tu porti un cognome importante. Fino a che punto è stata una risorsa, e quando invece rischia di diventare un peso?
Io sono 35 anni che lavoro con successo da artista. Per me, personalmente, è stata una grande ricchezza avere un padre come Anthony Quinn. Con lui ho avuto l’opportunità di vedere cose uniche, di conoscere persone speciali. Dal punto di vista della mia carriera, soprattutto per gli aspetti istituzionali, questo è stato molto negativo. Perché molti sono convinti che io abbia ottenuto successo solo per questo; e molti non mi aiutano, perché sono convinti che io non abbia bisogno. Mio padre ha 13 figli: già questo dice che per noi non è una garanzia. E poi al mondo ci sono migliaia di attori famosi che hanno figli: e quanti di loro si affermano solo per questo? Essere sempre sotto i riflettori è difficile, e richiede molti sacrifici, anche nella vita di tutti i giorni…

https://lorenzoquinn.com/

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