Ultimi giorni per visitare la mostra “Luigi Erba. L’Archivio presente” a cura di Barbara Cattaneo – aperta nell’ottobre 2021- che chiuderà il prossimo 23 ottobre 2022 nella Sezione di Grafica e Fotografia di Palazzo delle Paure a Lecco
Concettuale, quanto fu Ugo Mulas nelle “Verifiche” dei primi anni Settanta, narrativamente legato a una dimensione intimistica del rapporto con i luoghi del cuore, come si connotò Luigi Ghirri. Parliamo di Luigi Erba (Lecco, 1949), artista che condivise idealmente con i due maestri della fotografia italiana la temperie culturale del secondo dopoguerra, caratterizzata da un approccio analitico alla realtà, ma anche da grande attenzione ai suoi aspetti più poetici e magici.
Il suo essere nato in un territorio dalle forti tradizioni contadino-montane, l’area lariana, condusse Erba sulla via dell’indagine antropologica – fotografava case e baite alpine abbandonate pregne del vissuto di chi le abitò –, intrisa però di riflessioni metalinguistiche sul significato del tempo e sul suo incidere qui con una profondità che raramente si rintraccia uguale in altre aree d’Italia.
Settanta delle sue opere esposte (fino al 23 ottobre) nella mostra “Luigi Erba. L’Archivio Presente”, allestita al Palazzo delle Paure di Lecco, entreranno a fare definitivamente parte delle collezioni della Fototeca del Si.M.U.L. (Sistema Museale Urbano Lecchese) per effetto della donazione effettuata dall’artista stesso, coerentemente con il piano di valorizzazione e arricchimento dei Fondi Fotografici dei Musei di Lecco creati nel 1998 grazie alle acquisizioni del fondo del lecchese Giuseppe Pessina che – nato nel 1879 – è considerato il primo fotoreporter italiano. A tale fondo si sono aggiunte opere di fotografi contemporanei: Giandomenico Spreafico, Pietro Sala, Raffaele Bonuomo, Giuliano Cantaluppi e Giovanni Ziliani, sensibili anch’essi ai luoghi fisici e mentali di questo lembo prealpino e alpino d’Italia. Infine, di Daniele Re, Rosandro Cattaneo e Andrea Caronni, impegnati sul tema dell’Adda.
LA MOSTRA, UN VIAGGIO NEL TEMPO
Percorrere le sale al primo piano del Palazzo, dove le opere di Erba sono presentate, significa afferrare il filo dello sviluppo di una ricerca che l’artista ha via via dipanato in modo costante e coerente. Aprono il percorso le immagini dei primi anni Settanta dedicate alla Valle Tartano.
Si tratta di scene di interni dove gli oggetti giacciono in disordine – come appena abbandonati ma già coperti di una spessa coltre di polvere e detriti –, rilette talvolta attraverso la modalità dei “riscatti”, ovvero stampe da pellicola vintage, frutto talvolta di giustapposizioni e sovrapposizioni, che innescano i meccanismi del caso e dell’improvvisazione con inattesi esiti finali. Poi le case della Valle Imagna, presenze architettoniche fantasmatiche che si smaterializzano attraverso l’azione corrosiva della luce e della memoria, o quelle di Morterone, ritratte tra gli anni ’80 e i tempi recenti. Alcune di queste esemplificano l’estrapolazione di segni grafici, derivanti dalle falde di un tetto, trasformati nel linguaggio di Erba in archetipi alfabetici che, reiterati, si compongono in sequenze astraendosi totalmente dal contesto da cui sono tratti. Si veda in proposito l’opera del 2021 “Morterone una soglia poetica. A Carlo Invernizzi – qualcosa di tuo qualcosa di mio”.
La sperimentalità, che caratterizza la sua produzione, gli derivò non a caso dal padre, titolare di uno studio fotolitografico all’avanguardia, la curiosità dalla propensione alle frequentazioni letterario-artistiche che gli fornirono gli strumenti intellettuali per spingersi nella ricerca continua.
Ma è attraverso alcuni altri scatti che si definisce l’importanza dell’ascendenza esercitata su di lui dalla settima arte, il cinema – Michelangelo Antonioni, Giuseppe Fina, Antonio Pietrangeli –, che l’artista ha vissuto in modo totalizzante e nella quale trovò alimento non solo per le sue chimere, ma anche per le sue riflessioni concettuali. È lui stesso a parlare del suo approccio alla fotografia in termini quasi cinematografici: “È stato tutto come un sogno. Un tentativo di superare il limite del fotogramma per avere un pezzo di infinito da tenere in tasca. Forse, più semplicemente, realisticamente, un film … mai girato!”. Il consequenziale scorrere delle immagini della pellicola cinematografica lo spinse infatti alla speculazione applicata alla pellicola analogica: il prima e il dopo e soprattutto il “mentre”, latente nei provini, cioè lo stacco tra un’impressione e l’altra, da cui scaturirono le opere dal titolo “Interfotogrammi”, partite negli anni ’80. Ancora una volta indietro e avanti nel tempo:sI pensi alle riprese dell’Acciaieria del Caleotto realizzate nel 1985-86 e stampate nel 2016.
Ed ecco infine la città, con i suoi miraggi, le sue attese, i suoi “ritorni”, fino alle immagini che hanno accompagnato l’epoca del lock down a Lecco dove l’artista si appropria del colore, in una sorta di esplorazione del contesto urbano e non solo. Là dove i manifesti stradali strappati – colti con il cellulare nella prospettiva obliqua di una via, di un giardino, di un’area appartata –, rievocano la stratificazione di ore, giorni, mesi, anni: esemplificazione del processo di costruzione e decostruzione che per certi aspetti si accomuna al viaggio vissuto dall’autore stesso.