Nel panorama dell’attuale arte contemporanea, dove il significato dell’opera è sempre meno evidente all’occhio dello spettatore – che, esposto quotidianamente a un numero di immagini incalcolabile, è tanto assuefatto al “guardare” quanto disabituato al “vedere” –, una mostra come L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni nell’arte (visitabile fino al 26 febbraio al Palazzo del Monte di Pietà di Padova, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo) assume un’importanza che forse non avrebbe ricoperto in un’epoca diversa da quella in cui stiamo vivendo.
Curata da Luca Massimo Barbero per la parte storico-artistica, che dà fondamento all’intero percorso, e da Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università di Padova per la sezione dedicata al Gruppo N e alla psicologia della percezione, L’occhio in gioco nasce, in collaborazione con l’Ateneo Patavino, nell’ambito delle celebrazioni per gli 800 anni di storia ed attività di una delle università più antiche al mondo, nel solco dell’indagine del rapporto tra arte e scienza già inaugurato nel 2017 con la mostra Rivoluzione Galileo, l’arte incontra la scienza.
Secondo un iter non cronologico bensì tematico, la mostra padovana si concentra sul concetto di visione, sviscerando il “ruolo” che l’occhio ha ricoperto nei secoli, sia per quanto riguarda la pittura, che la scultura, la fotografia, la scienza o la tecnologia. La prima parte dell’esposizione esplora il rapporto tra colore, forma e percezione, accostando la rappresentazione del Cosmo dal Medioevo al primo Rinascimento – tra mappe celesti e sfere armillari – a opere di Paul Klee, come l’acquerello Transparent-perspectivisch gefügt (II) del 1921, e di Julio Le Parc, i cui cerchi concentrici di Série 23, n.14-11 (1970-2012) accolgono i visitatori nella prima sala. Tutte opere che utilizzano come strumenti rappresentativi privilegiati l’elemento cromatico e il cerchio.
Il movimento: realtà e illusione
Un altro nodo nevralgico della mostra è quello del movimento: reale, come nel caso delle “macchine ottiche”, tra cui i Rotoreliefs di Marcel Duchamp, o illusorio, come nel caso delle allucinogene opere ottiche di Victor Vasarely e Dadamaino, di cui disorienta, tra le altre creazioni, il suo Oggetto ottico dinamico (1962). L’immagine statica come preludio del movimento è trattata a Padova dando traccia delle varie avanguardie che se ne occuparono all’alba del XX secolo: cubismo, futurismo, avanguardie russe, il Bauhaus, e, in seguito, il post-modernismo. L’occhio in gioco presenta lavori di artisti tra i maggiori esponenti di queste correnti: italiani come Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Bruno Munari, Gio Ponti e Ettore Sottsass; internazionali come, tra i più rappresentativi, Max Bill e Vasilij Kandinskij.
La fotografia, anticamera del cinema
Una sala è dedicata alla fotografia che, nel corso della sua storia, fu oggetto di interesse non solo per le sperimentazioni artistiche – Man Ray con le sue rayografie, per fare un nome –, ma anche e soprattutto scientifiche. Celebri in tal senso gli esperimenti fotografici condotti sul movimento nell’ultimo trentennio dell’Ottocento da personalità quali Eadweard Muybridge – iconiche le sue sequenze Animal Locomotion (1887) – ed Étienne-Jules Marey – La camminata (1887) – e, successivamente, da Gjon Mili – Nude Descending Staircase (1949) e Harold Edgerton – Gussie Moran, Tennis Serve (1952) –, i quali avrebbero posto le basi per la nascita di quello che oggi siamo soliti chiamare “cinema”. Scrive a proposito Walter Guadagnini nel catalogo della mostra, edito da Silvana Editoriale:
…poiché ciò che conta è la possibilità di rappresentare lo scorrere del tempo all’interno di un’immagine statica, non come metafora o racconto sequenziale, ma come iconografia in sé, che non risponde più alle leggi costituite dall’estetica occidentale figlia della visione prospettica, ma si addentra in nuove dimensioni teoriche e operative”.
A testimoniare la svolta epocale che la fotografia impresse alla storia dell’arte in quanto linguaggio del tutto originale e a sé stante rispetto alla pittura.
Il Gruppo N, tra scienza e arte
La seconda parte della mostra mette in evidenza lo stretto legame tra scienza e arte, che è sempre esistito a Padova, ed è interamente dedicata alla fertile correlazione tra lo studio della percezione, che si andava sviluppando nell’università cittadina dopo la fondazione, nel 1919, del Laboratorio di Psicologia Sperimentale, e l’attività artistica di un collettivo di artisti padovani attivo tra il 1960 e il 1964, il Gruppo N: Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi e, accanto a loro, Marina Apollonio, tutti artisti che indagarono il tema della visione e delle sue ripercussioni sulla nostra sensibilità, contribuendo alla tendenza artistica che verrà definita optical. La rassegna, oltre che la genesi delle singole opere, ricostruisce anche molti degli “ambienti” che il Gruppo allestì per le sue esposizioni, permettendo così allo spettatore di immergersi nelle “atmosfere” in cui gli artisti si mossero e di sperimentarne in prima persona gli stranianti, vertiginosi e stupefacenti effetti ottici da loro messi a punto.
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