Venti opere, tra ritratti e autoritratti, compongono la preziosa personale di Victor Man alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Una pittura lisergica che abita luoghi di confine e indaga sentimenti ambigui. Dal 3 novembre 2022 al 26 febbraio 2023.
Le palpebre, verso sera. Basterebbe il titolo, privo di opere, a evocare in modo suggestivo ma puntuale l’atmosfera che la mostra di Victor Man suscita. Un momento liminare, di passaggio, dove la distanza tra dimensioni lontane si riduce al piccolo e sottile orizzonte che si viene a creare tra le palpebre, quando la stanchezza cresce e il giorno declina. Un quello spazio d’orizzonte la mente si annebbia di elementi confusi, lo sguardo perde il fuoco, i confini delle cose si sciolgono. Nel traballare della vista pare di non scorgere più “parole che dici umane; ma parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane“. Sinestesia che miscela vista e udito e permette di scomodare Gabriele D’Annunzio e la sua Pioggia nel pineto.
Come nella poesia il bosco diventa lo spazio dove due amanti si uniscono alla natura, perdono le sembianze umane e diventano tutt’uno con l’ambiente, allo stesso modo la pittura di Man sembra ritrarre una dimensione così intima da ricongiungersi, nello slancio finale dell’introspezione, a un sentimento universale. Un’elegia poetica, non a caso. In particolare le sue opere paiono abitare quel luogo che lo stesso D’Annunzio nella sua poesia definisce come «umida ombra remota». Un anfratto dello spirito buio e segreto, a cui la stessa coscienza ha accesso solo in determinate circostanze. Come, per esempio, tra le palpebre, verso sera.
Fondamentale, la virgola, per dettare i tempi di uno scarto millimetrico ma necessario per precipitare in un mondo dove la mescia onirica assume colori e sapori disparati. A partire dall’autoritratto e dal ritratto, Man rappresenta figure assorte, sorprese in momenti contemplativi, di raccoglimento e isolamento. Eppure tale sentimento, immerso una tavolozza verde, intensa, densa, pesante, come miele acido rappreso, apre a una serie di rimandi che sono significati ulteriori, livelli di lettura che donano spessore alle scene.
Come scrive Alessandro Rabottini, autore del testo critico, «a coesistere, nell’arte di Victor Man, non sono soltanto le differenti dimensioni del tempo e le forme del sentire ma anche, e soprattutto, le dimensioni dell’esistenza umana, che contempla nel suo corso l’erotismo accanto alla spiritualità, l’affetto accanto alla sua rinuncia, la somiglianza accanto al mistero e l’estraneità».
Varietà che si riflette nei soggetti e negli elementi di contorno. Donne riverse e trasfigurate da un’oscura voluttuosità, ma anche bambini dall’infanzia tenebrosa. Alcuni di loro cedono direttamente a deviazioni surrealiste, la loro ambiguità si riflette in occhi sdoppiati o sembianze trasfigurate. In altri casi il realismo accentua, paradossalmente, il carico drammatico dell’immagine.
Ognuna di esse è illuminata da un’oscurità lunare che ridonda l’ambiguità, diffonde elusività e garantisce esistenza a narrazioni in bilico tra archetipi del passato e frammenti di presente, e collocate in uno spazio temporale sospeso, quasi magico. Affetto e abbandono, sensualità e angoscia si intrecciano dunque in un racconto visivo né luminoso né chiaro. All’assennata ricerca di definizioni e limiti, Man preferisce esasperare i tratti inconoscibili della nostra vita. Si può anzi dire che esso non indaghi nemmeno i sentimenti, che pur non sempre appaiono definiti, ma addirittura la loro penombra.
Una vaghezza che però, spesso, soprattutto la sera, a palpebre socchiuse, incuriosisce più che spaventare. E in essa ci crogioliamo.
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere.
Gabriele D’Annunzio, La pioggia nel pineto