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Hayez, Cremona, Inganni, il romanticismo e la scapigliatura. Il mito della Milano ottocentesca in mostra

Carlo Bossoli, Commemorazione dei caduti delle Cinque Giornate di Milano, 1849, tempera su carta applicata su tela, 71,5 x 100,6 cm, Collezione privata

 

Carlo Bossoli, Commemorazione dei caduti delle Cinque Giornate di Milano, 1849, tempera su carta applicata su tela, 71,5 x 100,6 cm, Collezione privata

Dal 22 ottobre 2022 al 12 marzo 2023 il Castello Visconteo Sforzesco di Novara ospita la nuova esposizione autunnale ideata e prodotta da Mets Percorsi d’Arte e dalla Fondazione Castello in collaborazione col Comune di Novara, dedicata ai mutamenti dell’arte che si sono avvicendati nella Milano dell’Ottocento, dal Romanticismo alla Scapigliatura.

Frutto della quarta collaborazione tra il Comune di Novara, la Fondazione Castello e Mets Percorsi d’Arte la mostra si pone l’obiettivo di proporre un evento dal forte valore culturale e scientifico, consolidando l’identità territoriale e valorizzando l’importante complesso monumentale del castello di Novara. Ed è proprio il castello Visconteo Sforzesco a rappresentare il trait d’union che sancisce il viscerale vincolo tra le città di Novara e Milano, quest’ultima protagonista programmatica della mostra. Le insegne del casato milanese accolgono il visitatore all’ingresso del castello di Novara, città in cui Ludovico Maria Sforza fu fatto prigioniero in seguito alla battaglia di Novara, epocale scontro che determinò il declino degli Sforza e il conseguente insediamento di un lungo periodo di dominio straniero. La medesima oppressione darà origine nei secoli successivi ai moti risorgimentali, espressione totalizzante del Romanticismo ottocentesco, le cui manifestazioni nelle diverse forme dell’arte perseguiranno all’unisono la libertà per la Milano asburgica.

Attraverso più di settanta capolavori realizzati tra gli anni dieci e i primi anni ottanta dell’Ottocento, l’esposizione raccoglie le visioni dei diversi protagonisti del prolifico panorama figurativo affermatosi nella Milano del diciannovesimo secolo. Sotto la curatela di Elisabetta Chiodini, coadiuvata da un comitato scientifico composto da Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca e Sergio Rebora, il percorso espositivo è articolato in otto sezioni che si sviluppano nelle ale del castello e analizzano con minuzia cronologica gli sviluppi della pittura lombarda dal Romanticismo storico alla Scapigliatura, il complesso fenomeno culturale nato a Milano negli anni sessanta dell’Ottocento, al quale aderirono letterati, musicisti ed artisti. Le opere presenti in mostra, oltre a testimoniare le innovazioni pittoriche del secolo, restituiscono una fedele istantanea dell’epoca, attraverso le sue luci ed ombre. Sono gli anni della nascente società industriale, della frenetica vita cittadina, in cui va a configurarsi il crescente dissidio tra l’avida borghesia e la nuova classe operaia. I temi e gli atteggiamenti di contestazione tradiscono il disagio di un ceto intellettuale che non si riconosce più nei valori della cultura positivista, fiduciosa nelle conquiste della scienza e del progresso. La società moderna e di massa che nasce dalla rivoluzione appare in tutto il suo carattere alienante, vincolata alla legge del successo e del profitto, ridotta ad una vita d’abitudine conformistica e relegata all’ottusità.

Giuseppe Grandi, Pleureuse, 1875-1878 circa, Bronzo, 29 x 20 x 11 cm, Collezione privata

La fruibilità narrativa della mostra è sottolineata dall’articolazione delle otto sezioni, corrispondenti ai capitoli di un romanzo, genere che raggiunge il suo più largo successo proprio nell’Ottocento, introdotto in apertura da un Prologo: La nuova sensibilità romantica. Un’unica opera esposta, manifesto programmatico del Romanticismo storico, proietta lo spettatore in medias res sul palcoscenico dei sentimenti, assunti ad exempla morali dal massimo interprete italiano del genere, Francesco Hayez. L’Imelda de Lambertazzi, eseguita nel 1853 per il collezionista monzese Giovanni Masciaga, è il capolavoro che, attraverso il mezzo pittorico, porta in vita i protagonisti di un’opera letteraria di Defendente Sacchi, I Lambertazzi e i Geremei. La vicenda, tratta dalla cronaca medievale, verte sul binomio romantico di amore e morte, i cui sentori sono irrimediabilmente legati al dissidio inconciliabile tra valori comuni, uniti dall’amor patrio, e valori privati, le intime leggi naturali, regolate esclusivamente dall’animo umano. Il rapporto stringente tra arti figurative e melodramma è un leit motiv che raggiunge i suoi più alti esempi nel Romanticismo storico, ma che permane costante anche nella pittura di genere del secolo, come testimonia l’ampia selezione delle opere esposte. Nel 1830 Donizetti mise in musica una variazione sul tema originale dell’Imelda: in scena, sulla quinta teatrale dello sfondo, Hayez celebra le figure tragiche degli amanti, sospesi in un incontro che assume il sapore dell’addio. Il dialogo si interrompe, la musica tace e lascia spazio all’interrogativo. Vivere o amare? Vivere è amare.

Francesco Hayez, Imelda de’ Lambertazzi, 1853, olio su tela, 122 x 126 cm, Courtesy Enrico Gallerie d’Arte, Milano

La prima sezione espositiva, Pittura urbana nella Milano romantica, è dedicata alla geografia visiva della città di Milano, palcoscenico in cui si agita il piccolo mondo antico della borghesia ottocentesca. Le sale ad essa dedicate offrono l’occasione per godere di una visuale a trecentosessanta gradi sullo sviluppo urbanistico milanese nel diciannovesimo secolo. Le numerose vedute esposte abbandonano progressivamente l’analitico sguardo settecentesco, il protagonismo architettonico e le ridotte dimensioni che relegavano il genere a pittura di secondaria rilevanza, per assumere dimensioni sempre più ardite, eguagliando la monumentalità della pittura di storia, ora scritta per la prima volta dal popolo. Nella compagine dei nuovi vedutisti si inserisce l’esperienza pittorica di Angelo Inganni, autore delle celebri nevate, già in voga a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento.

La rivoluzione iconografica di Angelo Inganni si manifesta nella resa dinamica della neve che scende sul manto candido sopra la città di Milano, laddove il repertorio precedente si era limitato ad immortalare gli statici paesaggi innevati dopo la caduta delle precipitazioni. É il caso della Veduta del Naviglio di via Vittoria con il ponte di via Olocati, datata 1852: il fascino romantico per il fenomeno metereologico si fonde alla volontà di restituire una tranche de vie popolare. Milano è silenziosa, la neve cade a grandi falde, ma la vita quotidiana non si arresta, così l’arte: sul ponte che attraversa il naviglio persino un pittore è intento al proprio lavoro, è l’autore del dipinto, osservato con incredulo stupore da un navarolo infreddolito.

Angelo Inganni, Veduta del Naviglio di via Vittoria con il ponte di via Olocati, 1852, olio su tela, 73 x 90,4 cm, Courtesy Quadreria dell’800, Milano

Gli sviluppi del linguaggio pittorico, che trovano in Angelo Inganni un pionieristico interprete, sono manifestatamente espressi in conclusione nella sezione più ricca della mostra: L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliatoIn accordo con i bohémien francesi, gli artisti della Scapigliatura rinnegano il disegno per approdare ad una pittura d’atmosfera, sostenuta dal solo colore. La lezione luministica, evanescente ed ozonica è frutto dell’innovativo uso dello sfumato, attraverso il quale gli artisti infondono sulla tela l’impalpabile melancolia di un’esistenza inquieta, non ascrivibile alle forme distinte della mediocre vita borghese. In quest’ultima sezione sono esposti alcuni dei maggiori capolavori scapigliati, eseguiti dalla metà degli anni Settanta ai primi anni Ottanta del diciannovesimo secolo.

Tra questi spiccano Melodia e In ascolto, straordinarie tele eseguite en pendant da Tranquillo Cremona tra il 1874 e il 1878 su commissione dell’industriale Andrea Ponti. I dipinti del dittico alludono ad un’astrazione musicale: priva di qualsiasi connotazione episodica o narrativa, la figurazione diviene un pretesto per l’evocazione di assonanze emotive, la cui espressione è garantita esclusivamente dal nuovo linguaggio pittorico scapigliato. La scapigliatura non rinnega infatti la realtà visiva, che è presente e viva nell’arte, sebbene filtrata attraverso la lente del sogno: le presenze umane, languide e evanescenti si fondono progressivamente nella vaga vaporosità dell’ambiente che le avvolge. Come una partitura sinfonica la modernità pittorica di Tranquillo Cremona, attraverso una stesura di tocco, scandisce il tempo dell’esistenza in quella che Henri Bergson definirà durata interiore: la percezione coscienziale del tempo, nella sua dimensione privata.

Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874-1878 circa, olio su tela, 112 x1 28 cm, Collezione privata

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