Mostriciattoli, incendi e incubi. L’intero universo visivo di Hieronymus Bosch arriva a Palazzo Reale di Milano grazie a prestiti eccezionali. In una mostra – Bosch e un altro Rinascimento – che evidenzia l’altro lato del classicismo rinascimentale attraverso il confronto tra il pittore e gli artisti che a lui si sono ispirati. Dal 9 novembre 2022 al 12 marzo 2023.
Il 13 giugno del 1463 un incendio divampò a Hertogenbosch, un paesino delle Fiandre. Le fiamme, alte e spaventose, rasero al suolo le case e le vite dei cittadini che le abitavano. Tra questi vi era un bambino, che immaginiamo proteggersi il viso con le mani mentre osservava la sua infanzia sciogliersi. Le dita, coperte di cenere, lasciavano intravedere terribili lingue di fuoco che il giovane, forse, non avrebbe più dimenticato. Diciamo forse, perché è sempre rischioso e limitatamente utile porre nessi causali tra vita e arte. Ma nel caso di Hieronymus Bosch (1453 – 1516) un pensiero, in tal senso, è normale sovvenga.
Del resto, volendo condensare in un pugno di termini l’arte del più folle dei rinascimentali, potrebbe essere una cosa del genere: mostriciattoli, incendi e incubi. Elementi di base che, miscelati e ricomposti nella mente dell’artista, si sono poi condensati il tele che paiono visione oniriche, deliranti e seducenti viaggi per lande intrise di morte e sventura. Se delle circa 20 tele del maestro giunte fino a noi la maggior parte presentano toni cupi e tenebrosi, anche le altre non raccontano certo di scenari idilliaci.
Bosch interpreta il Rinascimento in un modo che oggi definiremo surrealista. Ovvero distanziandosi dall’iconografia classicista e luminosa, a favore di scenari angoscianti, provenienti da inconsci reconditi e mostruosità inesprimibili. Piuttosto che il bene e la rettitudine, l’artista ha liberato le paure, le pulsioni, i tormenti dell’umanità intera. Li ha messi in scena in paesaggi brulicanti di figure bizzarre – animali reali o chimire, mostri raccapriccianti e uomini nudi, tormentati e sofferenti in un eterno girone infernale – che si rincorrono in cerca di una salvezza che non arriva. L’equilibrio e la bellezza rinascimentale sono trappola di notti allucinanti illuminate da fuochi demoniaci.
Su tale constatazione si regge la mostra di Palazzo Reale, Milano, esemplificatamene intitolata Bosch e un altro Rinascimento. L’esposizione si propone dunque l’idea di un momento storico multiforme, in cui l’arte di Bosch sia rappresentativa di un Rinascimento alternativo, parallelo a quello classicheggiante. Ma non solo, anche di altri “Rinascimenti” – molteplici – che hanno caratterizzato centri e periferie artistiche in questi secoli di grandi scoperte e di curiosità culturale. I punti cardine della mostra sono gli esiti dell’impatto della cultura immaginativa boschiana e il contesto della loro recezione. Perciò, anziché una convenzionale presentazione monografica, si propongono sezioni tematiche (il fantastico, la magia, le visioni apocalittiche, per esempio) e stimolanti confronti tra dipinti dell’artista e una varietà di pitture.
Il percorso espositivo presenta così circa 100 opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e volumi antichi, inclusi una trentina di oggetti rari e preziosi. Tra cui si distingue il ciclo dei quattro arazzi dell’Escorial e l’arazzo con l’elefante del pittore francese Antoine Caron. A queste si aggiungono opere di discepoli di Bosch, su tutti Pieter Bruegel il Vecchio, presente con una decina di incisioni derivate da sue composizioni. Forma artistica che contribuì in maniera decisiva alla diffusione del gusto per le immagini di incendi notturni, scene di stregoneria, visioni oniriche e magiche.
Quanto a Bosch, in mostra troviamo il monumentale Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, opera che ha lasciato il Portogallo solo un paio di volte nel corso del Novecento e giunge ora in Italia per la prima volta. Altro importante prestito, questa volta del Groeningemuseum di Bruges, è il Trittico del Giudizio Finale. Fondamentali per il progetto espositivo il prestito del Museo del Prado dell’opera di Bosch, Le tentazioni di Sant’Antonio, e del Museo Lázaro Galdiano, che ha concesso la preziosa tavola del Maestro San Giovanni Battista. E ancora, sempre di Bosch, il Trittico degli Eremiti delle Gallerie dell’Academia di Venezia, proveniente dalla collezione del cardinale Domenico Grimani, collezionista fra i più importanti del suo tempo e tra i pochissimi proprietari delle opere di Bosch in Italia.
Per complessità compositiva, profondità di lettura e ricchezza di dettagli i suoi dipinti paiono contraddire l’idea di Vladimir Nabokov secondo cui l’opera d’arte si dona all’osservatore nel tempo del primo assalto visivo. Essi assomigliano forse più a libri, raccolte di racconti divisi in scene, sezioni, micronarrazioni che si isolano nel quadro e raccontano una propria storia. Una geografia funebre che evidenzia territorio brulli, devastati, dove scoviamo omicidi, sabba demoniaci, forme umane contorte, bizzarre, a tratti anche ridicole, ma in fondo inquietanti. Per esaurirle non basta una sola visita in mostra, figuriamoci un’occhiata. Siamo di fronte a poemi dell’orrore dove il dramma non sopprime la poesia, ma ne allarga l’influenza come una pozza di sangue che si diffonde sulla terra secca. Un gusto dell’orrido, del male, dell’oscuro, che in fondo ci appartiene.
Qua e là galleggiano architetture contorte formate da elementi artificiali e organici, in una commistione di mondi che precede l’immaginario freak tipico dei giorni nostri. Ed è forse tale sovrapposizione e contaminazione di universi l’elemento che inquieta di più. L’idea che esista la possibilità per l’uomo di perdere la sua integrità, le sue coordinate reali, per disperdersi una dimensione delirante e impossibile da controllare. Un posto dove siamo marionette di creature indicibili e sconosciute, vassalli di forze demoniache fuori dalla nostra comprensione. E, fino a Bosch, anche fuori dalla nostra immaginazione. Peccato che lui, dipingendole, le abbia rese se non reali, quantomeno possibili.