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Focus. Quattro opere che spiccano per rarità nel catalogo di Sotheby’s Milano

Fausto Melotti (1901 - 1986) Scultura n. 24 gesso e ferro Eseguito nel 1968, sulla base della Scultura n. 24 del 1935, da un'edizione di 3 esemplari più 1 p.a. più 1 ad personam cm 90x90,6x5 Stima: 100,000 - 150,000 EUR
Fausto Melotti (1901 – 1986)
Scultura n. 24
gesso e ferro. Eseguito nel 1968, sulla base della Scultura n. 24 del 1935, da un’edizione di 3 esemplari più 1 p.a. più 1 ad personam
cm 90×90,6×5
Stima: 100,000 – 150,000 euro

Il catalogo dell’asta meneghina di arte moderna e contemporanea di Sotheby’s conta 62 lotti. Si terrà dal vivo mercoledì 23 novembre. Abbiamo già parlato qui dei top lot dell’asta. In questa sede ci soffermiamo su quattro opere che emergono per la loro rarità, firmate da Fausto Melotti, Piero Manzoni Henryk Stazewski

Fausto Melotti, purezza e assolutezza metafisica

Melotti (1901-1986) è stato un artista poliedrico. Nel corso della sua vita ha esplorato molteplici tecniche e tematiche, tra i lavori più noti e più amati dai collezionisti sul mercato delle aste vi sono i cosiddetti “ottoni”. Nel catalogo di Sotheby’s Milano ne abbiamo uno, un delizioso “Contrappunto III” (1970-84, esemplare 3 di 4, stima 40.000-60.000 euro). Ma le opere su cui ci interessa puntare l’attenzione sono due gessi, più rari e non immediatamente riconoscibili come mano dell’artista a occhi non esperti. Si possono definire il primo passo verso la ricerca dell’artista che sfocia, negli anni seguenti, proprio nelle sculture in ottone. “Scultura n. 23” e “Scultura n. 24” fanno parte di un gruppo di sculture in gesso bianco realizzate da Melotti per la sua prima mostra personale alla Galleria del Milione di Milano nel 1935, dove furono esposte opere in svariati materiali, dalla creta al gesso, dal bronzo al metallo. La rarità di questi due pezzi in asta sta nel fatto che molte delle sculture di questa mostra andarono distrutte durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma l’artista decise di rifare, per una mostra del 1968, le opere esposte alla Galleria Del Milione nel 1935 che sopravvissero ai bombardamenti in tre esemplari più una prova d’artista. Come si può notare dalla scheda in catalogo, queste due sculture hanno una storia espositiva lunghissima, in Italia e all’estero. Melotti aveva studiato matematica e fisica e per lui anche la musica era matematica. I due gessi in asta sono opere definite dalla loro semplicità, sono «di una purezza ed assolutezza metafisica, giocando con le delicate alternanze fra ombra e luce, concavità e rilievo» si legge in catalogo. Un altro esemplare di “Scultura n. 24” è passato in asta nel lontano 1989 ed è stato venduto per 115 milioni di lire. Oggi l’esemplare in asta da Sotheby’s stima 100.000 – 150.000 euro. Stessa quotazione per “Scultura n. 23”.

Fausto Melotti (1901 – 1986)
Scultura n. 23
gesso. Eseguito nel 1968, sulla base della Scultura n. 23 del 1935, da un’edizione di 3 esemplari più 1 p.a.
cm 90x90x6,5
Stima: 100,000 – 150,000 euro

Piero Manzoni, immagini assolute

Il peluche in asta è un “Achrome” del 1961. I primi “quadri bianchi” realizzati con gesso, caolino e tela, vengono ideati e fatti da Manzoni alla fine degli anni Cinquanta. Nei mesi successivi l’artista intitola “Achrome” tutti i quadri bianchi. Sono spiazzanti. E Manzoni stesso intuisce la loro importanza scrivendo in una lettera all’amico Valentino Dori «[…] la mia ultima “maniera”: quadri totalmente bianchi: molte polemiche, ma infine sono il più importante atto artistico di questi ultimi anni». Nel ’60 accantona gli interventi direttamente sulla tela con il caolino e inizia a integrare nuovi materiali banali come la spugna sintetica, riquadri di feltro, cotone idrofilo a quadri, peluche, pallini di polistirolo, ghiaia ricoperta di caolino. In “Metodo di scoperta” pochi anni prima (1957-1958) il giovane provocatore scriveva: «Non possiamo assolutamente considerare il quadro come spazio su cui proiettiamo le nostre scenografie mentali, ma come nostra area di libertà, in cui noi andiamo alla scoperta delle nostre immagini prime. Immagini quanto più possibile assolute, che non potranno valere per ciò che ricordano, spiegano, esprimono, ma solo in quanto sono: essere».  L’opera in asta incarna appieno questa idea. Le opere devono essere libere dall’individualità gestuale. Questo “peluche” è solo un pezzo di stoffa morbida e tattile, la continua ricerca dell’Essere di Manzoni lo porta a superare la tela come supporto e la identifica come superficie in se stessa. L’amico e artista Vincenzo Agnetti nel 1970 scrive in “Gli achromes di Piero Manzoni” (“Ricerca Contemporanea 1”, Scheiwiller, Milano): «Questi quadri bianchi, così semplici, così vicini al niente: queste tavole di bellezza ricordante, di tentativo autoconvincente nell’assenza per una possibilità x». Questo Achrome realizzato in peluche, oltre ad essere ottimamente conservato, ha visto pochi passaggi di proprietà. Il collezionista che lo ha affidato a Sotheby’s lo ha acquistato negli anni Novanta da un privato; il passaggio precedente era direttamente dalla collezione Manzoni. È presentato in asta a una stima di 100.000 – 150.000 euro. Non è così frequente trovare i peluche sul mercato delle aste. Nel 2016, un altro pezzo del ’61 è stato venduto in asta a Milano per 278.400 euro. 

Piero Manzoni (1933 – 1963)
Achrome
peluche. Eseguito nel 1961 circa
cm 22×22; cornice: cm 39×39,5×5
Stima: 100,000 – 150,000 euro

 

Henryk Stazewski, il gioco delle forme geometriche

Dal bianco dei gessi di Melotti e del piccolo peluche di Manzoni, passiamo invece a un colorato lavoro di grandi dimensioni di Henryk Stazewski. L’artista ha visto una forte crescita in asta soprattutto nel 2020. Solitamente non si trova sulla piazza milanese, il suo mercato è principalmente polacco, con incursioni in Germania e Svezia. Dopotutto è stato uno dei pionieri dell’avanguardia polacca.  Da Sotheby’s Milano è in catalogo con un “rilievo” della fine degli anni Sessanta che potrebbe essere tra i più importanti realizzati dall’artista. Nella scheda in catalogo è infatti accostato al “Rilievo n. 9”, sempre del 1969, parte della collezione del Museo Nazionale di Varsavia. Negli anni Cinquanta e Sessanta Stazewski vede il definitivo abbandono della pittura a favore dei rilievi che compaiono per la prima volta verso la metà degli anni ’50 e rappresentano l’apice della sua evoluzione artistica, «il momento di massima astrazione, in quanto mezzo più adatto a “catturare lo spazio”, la profondità della terza dimensione, senza ricorrere ad espedienti pittorici» spiegano gli esperti di Sotheby’s. Le forme sono sempre più semplici, per lo più quadrate e spesso delle stesse dimensioni all’interno di un rilevo. Più si semplifica la forma, più invece il colore diventa intenso. Inizialmente i rilievi sono per lo più in bianco e nero (con metalli), come l’attuale top price in asta (“Relief in white, black and purple” del 1963, venduto a Varsavia nel 2020 per 264.206 euro). Ma pian piano compaiono colori di tonalità molto accese, risultato anche degli studi di Stazewski delle scienze della colorimetria e della fotometria che lo portano a cercare la totale eliminazione del “caos emotivo” generato dai contrasti tra colori non scientificamente compatibili. Si legge in catalogo: «Rilievo n° 8 del 1969 è sicuramente una manifestazione del rigore logico-matematico presentato fino a questo momento. Tuttavia, in deroga alle severe regole autoimposte dall’artista, la regolarità della composizione a righe verticali è interrotta dalla variazione di tonalità di colori tra un elemento e l’altro. Il risultato è un’opera dinamica, che inganna l’occhio di chi la osserva con un’illusoria e ipnotizzante vibrazione, molto affascinante dal punto di vista estetico». “Rilievo n° 8” è in vendita con una stima di 300.000 – 400.000 euro. Se sarà battuto anche a poco più della stima più bassa, diventerà il nuovo prezzo record per l’artista in asta.

Henryk Stazewski (1894 – 1988)
Relief n. 8
firmato, iscritto nn. 8 e datato 1969 sul retro
acrilico su masonite
cm 150x150x12
Stima: 300,000 – 400,000 euro

Appendice, o l’immancabile Fontana

Segnaliamo, immancabilmente, anche il padre dello Spazialismo. È praticamente impossibile non trovare Lucio Fontana nei cataloghi delle aste milanesi. Sono sei i lotti presenti da Sotheby’s. Non i “soliti” tagli, ma opere che raccontano alcune fasi della produzione dell’artista. Così emerge una “Anilina” della fine degli anni ’50 con una leggera nuvola dorata. Le aniline, o  inchiostri, sono lavori iniziati intorno al 1954, che fanno da ponte tra i primi Buchi, risalenti al 1950, e i successivi Olii e Tagli (Lotto 15, “Concetto spaziale”, 1958, anilina, buchi e matita su tela, stima 350,000 – 450,000 euro). Per i “Metalli”, è presente un iconico “Concetto Spaziale, New York” del 1962. Il lavoro ha una verticalità che richiama le forti emozioni suscitate nell’artista dai grattacieli, così alti e specchianti, incontrati nel suo primo viaggio nella Big Apple, definiti come “torrenti di luce” quando colpiti dal sole e “grandi cascate d’acqua, che precipitano dal cielo”  (Lotto 19, ottone con squarci a buco e graffito, 1962, stima 500-700.000 euro).  Infine custodisce e veglia sulla sala di Sotheby’s, un bellissimo drago verde in terracotta smaltata, proveniente originariamente da una collezione privata a Varedo, che è stato modellato nel 1949 (Lotto 18, terracotta smaltata, dipinta e lustrata, stima 400-600.000 euro).

Lotto 15
Lucio Fontana (1899 – 1968)
Concetto spaziale
anilina, buchi e matita su tela
Eseguito nel 1958
cm 99,5×99,5 cornice: cm 101,2x102x2,7
Stima: 350,000 – 450,000 euro
Lotto 19
Lucio Fontana (1899 – 1968)
Concetto spaziale, New York
firmato
ottone con squarci a buco e graffito
Eseguito nel 1962
cm 67x42x2,1
Stima: 500,000 – 700,000 euro

Lotto 19
Lucio Fontana (1899 – 1968)
Drago
siglato sulla coda
terracotta smaltata, dipinta e lustrata
Eseguito nel 1949-51
Opera registrata presso la Fondazione Lucio Fontana, Milano, con il n. 4110/5 ed accompagnata da certificato di autenticità rilasciato dalla Fondazione Lucio Fontana, Milano.
cm 29,5x105x31
Stima: 400,000 – 600,000 euro

 

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