Presso gli antichi Greci, l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina (tísis): concetto di fondamentale importanza in alcuni scrittori greci, specialmente in Eschilo.
L’ultimo lavoro della coppia Antonio Rezza e Flavia Mastrella, terminato il 27 novembre sul palcoscenico dell’Elfo a Milano, ha il titolo “Hybris”, (non) scritto e interpretato da Rezza insieme ad altri 7 attori.
L’allestimento scenico non cambia mai, o meglio cambia sempre: protagonista muto è un serramento, una porta, l’infisso vero e proprio che si apre e chiude danzando sul palco insieme ai suoi interpreti a dettarne entrata e uscita, apertura e chiusura, fragilità e fermezza, inclusione ed esclusione, pieno e vuoto, dento o fuori, come nelle porte (o case) di tutti e come riferimento alla vita di ogni giorno. I personaggi ci passano attraverso, si mascherano o si spogliano a seconda degli elementi, la porta è metafora di una soglia che apre mondi di ogni imperscrutabile pensiero/azione umana.
Il sistema Rezza/Mastella ha la matrice di sempre. Rezza domina, affabula ammalia stramazza sollazza il suo pubblico in labirintiche perniciose abilità teatrali da vero prodigio, irruento e dissacrante, possiede mimica e dizione da inventarne un premio, testi di spiazzante verità, blasfemo, incestuoso, incurante dell’incerto, furoreggia governando l’intera sala, strappa risate amare e lacrime dolci, istiga atti di debolezza umana, colpevolezza e auto assoluzione, pone tragica ilarità sulla falsa, modesta, spesso maldestra, conduzione delle nostre vite ed evidenzia inesorabilmente per ciascuno degli spettatori i propri fallimenti, i vuoti da riempire.
Rezza guarda avanti, si sradica dai magnetismi del teatro classico, supera l’opera tradizionale, sposta i confini dell’irriverenza. Tra Totò e Carmelo Bene, Rezza non è solo attore del suo teatro improvvisato e involontario, è un vero saltimbanco, atleta instancabile, è anche, e forse soprattutto, un gioioso arlecchino contemporaneo senza apparenti padroni, succube e alimentato della propria autorevolezza, mischiata a necessaria compiacenza. Nei saluti finali cita Giorgio Strelehr come ne fosse un allievo che ne dissacra l’insegnamento. Con il pubblico è un amore corrisposto, anche tra coloro che non ne conoscono la storia senza mai averlo visto prima, lui sorprende e colpisce infilandosi nella memoria come un bastoncino tra i denti, spinoso e necessario a far pulizia nella coscienza.
La condizione umana è sempre più alienata, distaccata e distante ed è forse la guerra domestica che produce le grandi guerre e crea distingui, distruzioni, muri spesso invisibili ma insormontabili.
Ciononostante, anche con la tragedia ormai prossima e forse definitiva, non può mancare il sorriso, l’autocritica e la leggerezza, pesantissima, di un istante che non tornerà più, anche quello complicato ed ingarbugliato della presentazione ai partenti del proprio non-amato per sempre.
E sull’amore forse, ciascuno potrebbe avere qualcosa da dire entrando o uscendo da storie che non sempre ricalcano quanto desiderato o, peggio, quanto pensiamo di stare vivendo. Importante è bussare.
Hybris
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
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