Una mostra, un nuovo catalogo e tanti discorsi sull’arte. Questo in estrema sintesi il 2022 italiano di Valerio Adami, che ha trovato in Milano – e in particolare da Dep Art Gallery – il luogo prediletto dove esprimersi.
Lo dice lo stesso Valerio Adami: «Per un pittore in fondo una delle ragioni dei suoi spostamenti sono anche i mercanti che si occupano del suo lavoro». Una considerazione che il pittore fa nel contesto di un’intervista, parlando delle città in cui ha vissuto molto tempo – Londra, Parigi e New York – e in cui è rimasto a lungo. «Credo che io non abbia veramente scelto di vivere a Parigi, è stato un po’ il caso. So no, credo io di essere rimasto sempre molto legato all’Italia» ha poi continuato. Il caso e i mercanti, dunque, come anomala (ma più ci si pensa meno lo è) combinazioni di elementi capaci di indirizzare la vita, e di conseguenza l’attività, di un pittore.
E sono proprio il caso, ma ancora di più un mercante, ad aver geolocalizzato il 2022 artistico di Adami: la Dep Art Gallery di Milano. Sono loro ad avergli dato voce tramite una serie di interviste, comprese quelle da cui sono presi gli estratti sopracitati; sono loro ad avergli dedicato una grande mostra tra l’inverno e la primavera; sono loro ad aver partecipato all’edizione di una nuova monografia; sono loro ad aver promosso la nascita dell’Archivio Adami. Sono loro ad aver reso Milano, anche se solo idealmente, l’ennesimo luogo di Valerio Adami.
Nonostante il pittore non abbia lasciato il suo studio parigino (dove continua a dipingere), è indubbio che quest’anno la maggiore eco del suo lavoro sia arrivata dalla città lombarda e dalla galleria in particolare. Il contributo più significativo viene probabilmente dall’esposizione Valerio Adami. Immagine e pensiero (1 febbraio-14 aprile 2022). 48 opere, lavori di piccole, medie e grandi dimensioni pensate per coprire un arco temporale ampio, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri.
Onnipresente il suo stile netto, tagliente, sincopato, spesso. Dai colori vivaci, i quali dilagano in modo uniforme, piatto, abbacinante, privi di striature che increspino una superficie calma e indistruttibile. Il risultato è un’immediatezza bidimensionale che definisce in modo marcato la maniera di Adami. Essa si esalta, più nello specifico, nei parallelismi e nell’inversione di forme e cromie, nella ricerca dell’armonia o nel suo rifiuto, nella costruzione del rimando e nella fabbricazione di un ritmo visivo. Le immagini si rincorrono, si sovrappongono, si spingono via per poi riagganciarsi.
Come i ricordi, che si sedimentano, riposano e riattivano in modi imprevedibili nel nostro animo. In particolare quelli fuggevoli ed emotivamente carichi, tipici forse dei viaggi e delle esperienze fugaci. «Il viaggio è forse la cosa che mi ha nutrito» dice Adami in un’altra intervista discutendo di ispirazione. E di come questa, attraverso il lavoro, si fa opera. E l’origine sono proprio i tanti viaggi compiuti dall’artista, sempre in movimento, sempre con gli strumenti da lavoro utili a «disegnare un pensiero, un ricordo, molte cose del mio quotidiano». Tutto parte da uno stato d’animo, spiega, il quale deve «prendere anche un valore di rappresentazione». Dunque esso non può ridursi a un dettaglio visivo autobiografico, ma espandersi a pensiero universale. Anche se, ammette Adami, alla fine «non ci penso troppo, la mano si muove da sola». E il punto si fa linea e la linea finisce, in modi misteriosi, a rappresentare qualcosa.
Nel suo caso ciò che si manifesta è una versione stilizzata della realtà, che lo lo avvicina a quell’arte del fumetto cara, per esempio, a Roy Lichtenstein; faro della Pop Art americana a cui il pittore si avvicina senza abbracciarla totalmente. E mentre taglia e ricuce la realtà, qualche volta sbaglia – si fa per dire, ovviamente – e annette alla composizione elementi astratti, indigesti a una figurazione lineare. Ma nemmeno è estraneo a suggestioni cubiste: alcune forme, soprattutto corporee, paino staccate ad resto, appartenenti a nessuno o a tutti, trasfigurate in un accavallarsi prospettico, fuoriuscite da percorsi traversi. Oppure surrealiste: creature animali, ibride, persistenti sono un invito all’interpretazione simbolica, la quale però non è mai univoca. Il cane, per esempio, simboleggia malinconia e fedeltà al tempo stesso. E ancora metafisica: cappelli, ventilatori, animali – cani, gatti, cavalli, uccelli – occhiali, forbici e biciclette, aerei e barche, finestre, colonne, ponti, laghi, astri diurni e notturni sono presenze sintomo di una realtà solo apparentemente oggettuale, ma segretamente densa di capovolgimenti enigmatici.
Ciò conduce a un’apertura di senso che definisce l’arte di Adami, come forse tutta l’arte migliore. «Tutto quello che la forma e la parola del disegno comportano – perché è proprio un modo di parlare, in fondo, disegnare – cambia, pur essendo solo una forma chiusa che impone una lettura o un significato» dice a proposito della pittura e del disegno che la precede. Ispirazione, pensiero, realizzazione. Il lirico che si fa intenzione, l’intenzione che si fa metodo per giungere a un obiettivo.
Anche all’arte serve dell’ordine. Tanto che la complessità e la vastità dell’opera di Adami, unite ad alcune problematiche sorte nella datazione delle opere più recenti, hanno portato Dep Art a realizzare un catalogo capace di fare ordine nella cinquantennale carriera di Adami. Al suo interno troviamo documentata l’ultima mostra milanese, un saggio del curatore Gianluca Ranzi, una dettagliata biografia di Adami, apparati documentali e un resoconto preciso delle mostre che l’hanno visto protagonista negli anni. Come quella che la Galerie Daniel Templon di Parigi gli ha dedicato dal 14 maggio al 16 luglio 2022. Un’unica deviazione parigina che ancora una volta sottolinea come quest’anno Adami sia stato un segreto cittadino milanese.