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L’Eros che muove il mondo. La pittura unica di Valerio Adami in mostra a Milano

Valerio Adami, La nuvola, 1991
Valerio Adami, La nuvola, 1991
Dep Art Gallery torna a dare spazio espositivo – a Milano dall’1 febbraio al 14 aprile 2022 – a Valerio Adami, pittore rappresentativo della Nuova Figurazione. Il suo stile unico racchiude un universo di implicazioni e riflessioni. Eccone alcune.

I libri si rileggono, i film si riguardano, una canzone si riascolta. I quadri, invece, si guardano e basta. Al massimo si torna a guardarli, ma non li si riguarda. Solo una questione di consuetudine lessicale? Non credo. Penso piuttosto a uno dei tanti meccanismi linguistici attraverso il quale formiamo il nostro mondo. Ad ogni modo, a differenti forme artistiche sembrano associarsi diverse forme di fruizione. Prima di tutto pare emergere un aspetto temporale, con quel “ri” posto a indicare una ripetizione del gesto. Ripetizione resa possibile dalle forme del medium, dalle sue caratteristiche fisiche.

Un film ha una durata, come anche un brano musicale; e anche un libro viene scandito dalle sue pagine, unità di misura che detta ordine e tempo della lettura. Ognuna di queste opere si estende nel tempo, ha un inizio e una fine. Si può addirittura instaurare un conteggio di quante volte godiamo di tali lavori. E quindi si può (ri)tornare ad essi, anzi forse è proprio necessario farlo (come ci ha ben spiegato Nabokov). Al contrario un’opera d’arte visiva non possiede estensioni temporali precise. La si guarda in un secondo e la si potrebbe guardare all’infinito. Nell’osservazione di un quadro, per esempio, viviamo dunque vari livelli di assorbimento. Ma se in altre circostanze li suddividiamo in precise fasi di analisi, nel caso di un dipinto queste coesistono in un istante che sa d’eternità.

Diciamo chiaramente: per decidere se un’opera ci piace impieghiamo una frazione di tempo irrisoria. É una scelta di pancia, immediata, emotiva, estetica, soggettiva. Facciamo nostro l’intero dipinto con uno sguardo. Ancora non l’abbiamo osservato bene che la decisione è stata presa. Si offre immediatamente nella sua interezza. Ci piace, non ci piace. E tanto basta. L’imponderabile sforzo dell’artista precipita in un momento cruciale, un unico secondo in cui l’istinto dell’osservatore si fa giudice del gusto.

D’altra parte anche le arti visive possiedono meandri ombrosi, dettagli non intellegibili al primo sguardo, intime connessioni, variazioni impreviste, stratificazioni di senso profonde. Possono essere dietrologie narrative, virtuosismi tecnici o qualsiasi altro aspetto che emerge solo dopo attenta analisi. Si tratta, fuori dai denti, delle ragioni che inconsciamente ci hanno portato ad apprezzare l’opera o meno. Sono i nostri perché.

Da destra verso sinistra: Nord Ovest, Trois planches pur une parabole (quasi una fantasia), L'Aile de l'Ange
Da destra verso sinistra: Nord Ovest, Trois planches pur une parabole (quasi una fantasia), L’Aile de l’Ange

E da qui la chiave per afferrare il senso ultimo della riflessione. Tali motivazioni (o giustificazioni) sono già presenti in quel primo istante dove decidiamo, per così dire, sulla bontà dell’opera. In un magico secondo è come se avessimo già capito ogni cosa. Poi accade che ce ne dimentichiamo, la ragione subentra ad annebbiare l’istinto e ci tocca analizzare, razionalizzare, indagare, approfondire per fare emergere ciò che già abbiamo intuito. Un’operazione potenzialmente senza fine. Ecco la duplice natura – istantanea ed eterna – di un quadro.

Sono certo che anche voi avrete già sperimentato questi meccanismi. Ma se voleste averne un’ulteriore prova tangibile, c’è sempre a disposizione l’opera pittorica di Valerio Adami. Trovo che i suoi lavori ben rappresentino questo sentimento di seduzione viscerale, di apprezzamento immediato; ma subito dopo stimolano la curiosità di chiedersi i come, i perché di tale irresistibile effetto. Nelle sale della Dep Art Gallery di Milano, dove ha inaugurato la mostra Valerio Adami. Immagine e pensiero, io ho trovato i miei.

A sedurre in primo luogo è il tratto dalla forma singolare. Netto, tagliente, sincopato, spesso. Contemporaneamente ci sono i colori vivaci, i quali dilagano in modo uniforme, piatto, abbacinante, privi di striature che increspino una superficie calma e indistruttibile. Il risultato è un’immediatezza bidimensionale che definisce in modo marcato lo stile di Adami. Esso si esalta, più nello specifico, nei parallelismi e nell’inversione di forme e cromie, nella ricerca dell’armonia o nel suo rifiuto, nella costruzione del rimando e nella fabbricazione di un ritmo visivo. Le immagini si rincorrono, si sovrappongono, si spingono via per poi riagganciarsi.

L’approccio quasi stilizzato lo avvicina a quell’arte del fumetto cara, per esempio, a Roy Lichtenstein; faro della Pop Art americana a cui il pittore si avvicina senza abbracciarla totalmente. E ancora la compattezza degli elementi, sigillati gli uni con gli altri in un incastro calibrato. Come tasselli di un mosaico ogni blocco è indispensabile alla visione finale. Nella loro eterogeneità nessun dettaglio è sacrificabile, tutti partecipano a una composizione dalla natura molteplice e plurale.

Valerio Adami, Fauno
Valerio Adami, Fauno

Si evidenzia così l’elaborazione mentale che Adami utilizza come un setaccio alle sue figure, che vengono trasportate in modo rigido sul piano della tela. Sono messinscene del pensiero dell’artista, il quale si concretizza in un mondo regolato da leggi personalissime. Insomma, il suo mondo personale. Ed è in questo modo che, continuando a guardare una sua opera, ci accorgiamo di stare passando gradualmente da un’analisi formale ad una contenutistica. Un flusso continuo che trasporta dalla superficie alla profondità del suo lavoro. Nessuno stacco netto, ma un dolce e inevitabile discendere.

Quale miglior luogo di un quadro per nascondere i segreti di una vita? Noi abbiamo questa fortuna: poter nascondere delle cose che appartengono alla nostra intimità.

Se è vero che ogni grande artista con la sua opera dà vita a un nuovo mondo, non è scontato che questo mondo sia necessariamente composto dalla sua vita. Quello di Adami sembra invece assecondare questa rotta, con una massiccia presenza d’umanità che confluisce nelle sue opere. Come dimostrano le tele in mostra – che spaziano dagli anni ’60 ai lavori più recenti – in esse abbondano figure umane, spesso direttamente riconducibili al pittore stesso (e alla moglie Camilla, insieme agli ambienti domestici che abitano) o al suo immaginario (su tutte le citazioni classiche alla statuaria e alla mitologia).

Tale persistenza corporea, una volta notata, è stato uno dei miei perché. Si tratta di un antropocentrismo artistico che non esalta il valore fatalistico dell’uomo, quanto più lo immette al centro di un impianto narrativo in continua evoluzione. Non solo perché questi corpi, come anticipato, paiono muoversi al ritmo delle loro frammentazioni, ma anche per via del loro relazionarsi allo spazio. Nei suoi dipinti confluiscono quindi temporalità e dimensioni diverse, così che al suo interno possano convivere ricordi personali ed elementi desunti dalla cultura in generale, evocati tramite la citazione di immagini o frasi. In esposizione troviamo alcuni esempi che lo avvicinano alla politica (Building capitalism, Anniversaire e Luogo di transito), alla mitologia (Fauno), alla sfera domestica (L’Aile de l’Ange, Figura in casa, Sequenza) o a quella popolare (Si balla all’est la libertà, Il castello).

Anche questo è un perché. Adami riesce a rimanere coerente con la sua poetica pur variando nei temi. Sembra parlare la medesima lingua in ogni opera, mentre ogni opera risponde con una propria voce. Merito di quella qualità che Jacques Derrida – filosofo amico di Adami – definisce telescopica. Il pittore afferra le immagini da costellazioni lontane e le porta a confrontarsi con altre figure, le invita a un dialogo forzato ma fecondo. Un’opera di montaggio che decostruisce la realtà e la riassembla per accostamenti simbolici ed estetici.

Da destra verso sinistra: Stanze, A moi meme, Bassorilievo
Da destra verso sinistra: Stanze, A moi meme, Bassorilievo

Un altro aspetto eccezionale è che, mentre taglia e ricuce la realtà, qualche volta sbaglia – si fa per dire, ovviamente – e annette alla composizione elementi astratti, indigesti a una figurazione lineare. E questo è estremamente poetico. Dal momento che per sua natura il linguaggio lirico è imprevisto, tutt’altro che lineare ed aperto a una moltiplicazioni di senso potenzialmente infinita. Come ad esempio la suggestione cubista: alcune forme, soprattutto corporee, paino staccate ad resto, appartenenti a nessuno o a tutti, trasfigurate in un accavallarsi prospettico, fuoriuscite da percorsi traversi. Oppure surrealista: creature animali, ibride, persistenti sono un invito all’interpretazione simbolica, la quale però non è mai univoca. Il cane, per esempio, simboleggia malinconia e fedeltà al tempo stesso. E ancora metafisica: cappelli, ventilatori, animali – cani, gatti, cavalli, uccelli – occhiali, forbici e biciclette, aerei e barche, finestre, colonne, ponti, laghi, astri diurni e notturni sono presenze sintomo di una realtà solo apparentemente oggettuale, ma segretamente densa di capovolgimenti enigmatici.

Tutte le suggestioni sopracitate paiono condensarsi al piano inferiore della mostra; laddove, in fondo, in un antro adibito, si trovano esposte tre opere: Bassorilievo, A moi meme, Stanze. Esse sono emblematiche non solo perché riportano molti, se non tutti, gli elementi già evidenziati – gli animali, la classicità, gli astri, l’ambiente domestico, quello naturale, gli innesti testuali e la costruzione frammentaria del mondo – ma soprattutto perché mostrano in maniera evidente quello che fa da collante, il vero filo rosso dell’arte di Adami: l’Eros.

Esso è da intendersi, ovviamente, in una duplice maniera. Da una parte nella sua sfumatura più sensuale, quella che porta Adami ad esaltare le curve dei corpi, che a loro volta sono avvinghiati, allacciati in vortice di sensi dove l’istinto precipita e la ragione perisce. Qui si percepisce una carnalità ideale, incompatibile con la realtà, come a voler sottolineare che alla fine l’erotismo è una faccenda mentale più che fisica. Su questo mi trovo d’accordo e credo sia un altro dei perché.

Dall’altra parte, invece, l’eros si configura come desiderio di sintesi, una pulsione a unire, a far coesistere le differenze. Non è un caso che nella mitologia greca sia Eros a sconfiggere il Caos e dare origine alla creazione. La molteplicità dei temi amati dal pittore trova soluzione nella ferma volontà dell’artista di compenetrarli, di superare paradossi e limiti per generare qualcosa di inedito. Un mondo nuovo. Poco importa se vive solo nelle tele di Adami, questo è indubbiamente un altro dei miei perché.

 

Valerio Adami, Stanze, 2005
Valerio Adami, Stanze, 2005
Valerio Adami, A moi meme, 1984
Valerio Adami, A moi meme, 1984
Valerio Adami, Bassorilievo, 2005
Valerio Adami, Bassorilievo, 2005

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