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Grande prova della Compagnia della Scala nello Schiaccianoci di Nureyev

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala
Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

L’occasione del trentennale dalla scomparsa di Rudolf Nureyev ha fatto sì che dopo sedici anni tornasse sul palcoscenico della Scala (fino all’11 gennaio) Lo schiaccianoci, il titolo di maggior fascino consegnato da Rudy al teatro milanese

Balletto fiaebesco e inquitetante, Lo Schiaccianoci di Nureyev il 20 dicembre ha segnato l’apertura della stagione ballettistica ed è stato trasmesso il 5 gennaio su Rai5 alle 21.15 mentre dal vivo, in teatro, continuerà fino all’11 gennaio.

Come sappiamo il famoso balletto di Čajkovskij è stato oggetto dei più svariati allestimenti. La creazione di Nureyev arrivò alla Scala nel 1969. Il mitico danzatore, come per altri importanti balletti di repertorio, volle dare la sua lettura a Lo Schiaccianoci, facendone una rielaborazione molto particolare che lo rappresentasse sia da un punto di vista psicologico che tecnico. La vicenda di Clara nelle sue mani diventa notevolmente più complessa e affascinante. Il Natale resta la cornice della vicenda, ma una cornice struggente che rispecchia la solitudine e la malinconia dell’esule senza patria né famiglia. La festa nella magnifica casa del dottor Stahlbaum è un tripudio di giocattoli, ragazzini scatenati, luci, danze di società che non dimenticano nessuno, nemmeno i nonni, ma in un canto riflessivo c’è Clara che abbraccia un bambolotto piuttosto brutto, lo Schiaccianoci. Per lei è bellissimo,  le suscita una strana attrazione  che inconsciamente sente anche verso chi glielo ha regalato: l’amico di famiglia, il mago Drosselmeyer, controfigura di Nureyev in abiti orientali e benda nera sull’occhio. E così mentre gli adulti ballano valzer e quadriglie, la bambina, dentro la cupa scenografia di Nicholas Georgiadis (scelto e amato da Nureyev), vive un sogno meraviglioso, un viaggio iniziatico degno di Freud. Il mago conduce la piccola Clara dormiente abbracciata allo Schiaccianoci in un mondo nuovo, tentacolare, circondata da topi e pipistrelli minacciosi che invano soldatini e ussari al galoppo (i bravissimi allievi dell’Accademia della Scala) cercheranno di scacciare. È terrorizzata. Ma l’alter ego di Nureyev, appunto Drosselmeyer, si fa carico delle sue turbe diventando il bellissimo principe e danzando con lei la farà passare dallo stato infantile a quello adolescenziale, per riconsegnarla nuovamente al sonno, alla poltrona e al giocattolo da stringere al petto. Ciò che è certo è che lei non sarà più come prima.

Oggi il balletto è stato ripreso da Manuel Legris e Aleth Francillon, scelta dallo stesso Nureyev come assistente alla coreografia, quando ancora danzava nel corpo di ballo dell’Opéra. E mentre sul podio le note di Čajkovskij sono nelle sapienti mani del moscovita Valery Ovsyanikov, dal passato eccellente specie in campo coreutico, i ballerini scaligeri si presentano uno più eccellente dell’altro, sviluppando egregiamente i difficili assiemi, assoli e passi a due.

Timofej Andrijashenko. ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Si apprezzano Beatrice Carbone, elegante padrona di casa e agile danzatrice di carattere nella Danza Russa, e Antonella Albano, ottima seduttrice nella Danza Araba, ma gli occhi sono tutti per loro, la grande coppia dello spettacolo di apertura formata da Nicoletta Manni – Timofej Andrijashenko, ambedue dall’aplomb perfetto e perfettamente all’altezza della situazione. Tutta la compagnia funziona, ad oggi davvero una splendida compagnia. Dunque chapeau alla Scala e a Manuel Legris, direttore del Corpo di ballo, che ha ammesso essere stato un lavoro enorme rimontare il balletto, non solo per i protagonisti, ma per tutti i ruoli di questa versione che scava nella psicologia dei personaggi e mette a dura prova la preparazione tecnica dei ballerini dietro a salti, batterie, prese vertiginose e via dicendo.

Nicoletta Manni. ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Prendiamo ad esempio la conclusione del pas des deux del secondo atto, un passo che prevede una posa conclusiva di particolare bellezza e difficoltà, con il Principe che esegue una arabesque, tenendo la ballerina completamente appoggiata sulla sua gamba e sul lato del torso «come una farfalla posata». Chiusura virtuosa simbolo di quello a cui Nureyev ha aspirato in tutta la sua carriera: quella parità fra primo ballerino e la sua eterea partner.

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Ma molta tecnica è anche richiesta dal corpo di ballo per le due grandi scene del Valzer dei fiocchi di neve e del Valzer dei fiori, bellissime coreografie di insieme che ancora una volta dimostrano quanto Rudi avesse la capacità di muovere i gruppi in scena come pochi altri. Così la lezione di Nureyev che non cessa di stupire è arrivata alla nuova generazione per la gioia di chi ha imparato e di chi ne ha goduto visivamente.

www.teatroallascala.org

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